Sorpresa: gli NFT non sono morti e sepolti
I 69 milioni di dollari a cui è stata venduta l'opera di Beeple hanno rappresentato un exploit? Prima gli NFT non esistevano e poi la storia è finita? I dati raccontano una vicenda molto più complessa. Che è tutt'altro che all’epilogo
Ai primi di marzo il Centre Pompidou ha annunciato di aver acquisito una serie di opere digitali dell’artista Sarah Meyohas. Il suo lavoro pionieristico nel mondo NFT, Bitchcoin, va così ad aggiungersi ad altri diciassette NFT che sono già nella collezione dell’istituzione francese. E questo accade nel momento esatto in cui gli addetti ai lavori e gli appassionati si interrogano sullo stato di salute del mercato della crypto arte, dopo le vette raggiunte dal comparto nel 2021 e con lo spauracchio di una recessione che incombe su tutti i mercati, non solo quello dell’arte. Intanto, mentre c’è chi è già pronto a suonare le campane a morto per gli NFT – visto il rallentamento delle transazioni, la riduzione dei prezzi, le difficoltà produttive delle piattaforme che hanno dovuto licenziare parecchi dipendenti già nel 2022 e un generale raffreddamento degli entusiasmi del pubblico – le cifre non sono drammatiche. Se restano interrogativi su diversi ambiti, dalla sicurezza alla facilità di esposizione, e di certo il mercato si sta ricalibrando e non di poco, ora il mondo dei musei e delle istituzioni del tradizionale sistema dell’arte guardano invece con curiosità alle sacche creative che lavorano con NFT e blockchain.
SARAH MEYOHAS AL CENTRE POMPIDOU
Piuttosto trascurata dalle cronache di settore, rispetto alla fama di Beeple o di tanti altri artisti per lo più maschi che hanno iniziato ad affollare questo nuovo marketplace, Sarah Meyohas ha iniziato a mintare i suoi primi duecento Bitchcoins nel 2015, ancora prima dell’emergere di Ethereum. Nell’idea della loro creatrice, quei token su blockchain, legati ad altrettante opere fisiche, funzionavano allo stesso tempo come arte e come valuta digitale, che i collezionisti potevano dunque possedere e scambiare, e andavano a mescolare intenzionalmente le carte in tavola tra valore simbolico e trading speculativo nel mondo della creazione artistica. A distanza di qualche anno arriva ora l’interesse e la scommessa di una delle più prestigiose istituzioni internazionali e a febbraio pare sia andata così a buon fine l’acquisizione da parte del Centre Pompidou di Parigi di due dei Bitchcoin di Meyohas, che entrano a passo trionfale nella collezione francese, andando ad affiancare altre 17 opere NFT già acquistate e create da Autoglyph, CryptoPunk, Jill Magid, Jonas Lund, insieme a lavori digitali più storicizzati di Robness e Fred Forest, per citarne solo alcuni. Un’acquisizione, questa aggregata del Pompidou, che segna un landmark nella storia collezionistica degli NFT ed è in effetti la prima nel suo genere da parte di un museo nazionale francese.
LA GALASSIA NFT NELL’ART MARKET REPORT DI ART BASEL E UBS
Che il digital sia uno dei temi destinati ad acquisire un’importanza sempre maggiore e più ampia nel prossimo futuro è fuor da ogni dubbio ma, se servissero dei dati a sostegno, ebbene non mancano, a cominciare dall’annuale Art Market Report pubblicato come sempre da Art Basel e UBS. In attesa della prossima edizione, nell’ultima disponibile, quella rilasciata nel 2022 e che prende in considerazione quindi l’anno 2021, seppure – come ci si poteva aspettare – le vendite online abbiano subito un rallentamento rispetto all’anno di esplosione del Covid, il 2020, in risposta alla ripartenza degli eventi in presenza, il valore aggregato del segmento ha continuato a crescere. Come a dire che il commercio elettronico di opere d’arte è qui per restare. Comprese le piattaforme non tradizionalmente appartenenti alla filiera dell’arte e dedicate agli scambi di NFT, i Non Fungible Token. Che rispetto alla prima restano un mercato dai confini più contenuti, ma foriero di potenzialità e innovazioni di un certo interesse. Almeno stando anche a quanto musei, istituzioni, collezionisti e studiosi, come dicevamo, stanno facendo nel segmento.
In questo mercato parallelo e laterale, con cifre e volumi di affari inferiori a quelli del tradizionale sistema dell’arte di case d’asta e gallerie e dealer, si agitano infatti a ritmi più rapidi che mai posizioni di dominio, nuove traiettorie, preferenze inedite, ruoli ibridi, che lo rendono un bel laboratorio di esperienze con delle tangenze con il resto della filiera. Certo le dinamiche speculative son lì, dietro l’angolo, o quell’angolo anzi lo hanno girato già, e i tempi di rivendita sono quanto mai compressi nell’ambito degli NFT, tanto che i tre quarti del valore del business sono generati da secondi e ulteriori passaggi di proprietà, con una vita media delle opere, prima di una nuova transazione, che non supera il mese in tutto. Quando il periodo medio di rivendita nel mercato dell’arte tradizionale si aggira intorno ai 25/30 anni.
Se per il 2021 il turnover totale del mercato dell’arte è stato quantificato da Claire McAndrew e dalla sua squadra di esperti di Art Economics in 65,1 miliardi di dollari (+29% rispetto al 2020, anche meglio del totale del 2019 pre-pandemico), nello stesso anno le vendite di NFT – che in quella cifra non sono conteggiate – nel segmento variegato di “art and collectibles” e realizzate sulle piattaforme come Ethereum e Ronin hanno visto una crescita sostanziale, passando dai 4,6 milioni di fatturato del 2019 a 11,1 miliardi nel 2021. Di queste, quelle relative solo a “oggetti” artistici mostrano pure segno positivo, attestandosi a 2.6 miliardi. E intanto di sicuro si capovolgono le percentuali di influenza di un mercato che potremmo dire primario, cioè relativo alla prima vendita di un NFT, e di quello secondario, delle vendite successive alla prima, con un 75% che nel 2020 riguardava appunto il primo scambio e che nel 2021 lascia invece il 73% alla rivendita. In un mercato a suo modo liquidissimo e rapido che ha attratto – per non dire che sembra essere stato pensato per – un gran numero di operazioni speculative.
L’OFFERTA E LA DOMANDA DI NFT
Restando sempre sui dati disponibili a oggi, solo il 6% dei galleristi raggiunti dal report di Art Basel dichiara di aver venduto NFT nel 2021, un altro 19% non ne ha venduti ma sarebbe interessato a farlo nel prossimo futuro, in uno o due anni, diversamente da un 46% che invece non ne ha alcuna intenzione, nemmeno nel futuro, e un 29% che non ha ancora le idee chiare a riguardo.
Nel mondo degli incanti i trend sembrano muoversi diversamente. Dopo l’acme raggiunto nel marzo 2021 da Beeple, che da Christie’s aveva superato i 69 milioni di dollari con Everydays: The First 5000 Days (2021), le grandi case d’asta hanno approntato infrastrutture ad hoc con grandi investimenti anche nel Web3. E le vendite di NFT sono rimaste un tassello delle vendite strategico seppure con valori e aggiudicazioni ben più contenuti: 150 milioni di dollari il totale per Christie’s, incluso Beeple, e 80 milioni per Sotheby’s. Mentre è poi in realtà solo il 5% delle case a essersi messo a pieno regime nel presidio di questo segmento.
Sul fronte della disposizione degli acquirenti effettivi e potenziali, spulciando le opinioni dei collezionisti “High Net Worth”, emerge come a predominare le scelte e le acquisizioni siano sempre le opere prodotte, diciamo così, con media tradizionali, mentre solo un 11% della spesa del campione analizzato è stato destinato ad arte digitale. Anche se una larga maggioranza, il 74%, dei collezionisti, ha effettivamente comprato arte NFT nel 2021, con una spesa media che si aggira intorno ai 10mila dollari. Le cose vanno meglio poi con le generazioni più giovani, che vanno occupando un posto sempre più strategico per il mercato in generale, soprattutto per quello del lusso, ma anche in area NFT. Se è vero, come dichiara il 5% della Generazione Z e il 4% dei collezionisti Millennial, che queste nuove leve di consumatori hanno speso più di un milione in acquisti digital. Tutti comunque o quasi, l’88% del campione, dichiara un interesse crescente per l’arte digitale e l’intenzione di comprare opere NFT in particolare nell’immediato futuro.
LE CASE D’ASTA TRA METAVERSO E WEB3: LA BLOCKCHAIN PER LE VENDITE DI NFT
Come già nella conversione delle attività commerciali sul binario dell’online in tempi pandemici, le case d’asta globali – Christie’s, Phillips e Sotheby’s su tutte – sono state gli operatori con più risorse e con i migliori output. Anche nell’arena NFT le giganti degli incanti hanno dapprima cavalcato l’onda di entusiasmo, inserendo token d’arte nei loro cataloghi, per poi progettare nuovi strumenti e format dedicati esclusivamente a quel segmento. È il caso di Metaverse, il marketplace digitale e ufficiale per gli NFT avviato nel 2021 da Sotheby’s, con la possibilità di acquisti sia in valuta fiat che in criptovalute, come Ethereum e Bitcoin. E ancora di più del lancio di Christie’s 3.0 nello spazio del Web3, a poca distanza dalla avvenuta conclusione di Ethereum Merge, l’atteso aggiornamento della blockchain che dovrebbe consentire al nuovo Ethereum 2.0 di ridurre le emissioni di carbonio fino al 99,95%.
Il Merge infatti è stato progettato per ridurre la necessità di complesse operazioni di calcolo inaccettabilmente energivore, nel tentativo di assolvere la criptovaluta dalle accuse sull’impatto ambientale delle sue attività. Anche sulla scorta di questo successo e prima tra le case d’aste, Christie’s ha inaugurato lo scorso ottobre il suo marketplace completamente on-chain. In collaborazione con tre aziende di riferimento del Web3, ovvero Manifold, Chainalysis e Spatial, le aste di NFT della casa inglese si svolgeranno infatti per la prima volta completamente sulla rete blockchain di Ethereum, dall’inizio alla fine. Se infatti la tecnologia NFT non costituisce una novità per la casa, è anche vero che finora le transazioni non avvenivano effettivamente sulla blockchain. Christie’s 3.0 ha rimodellato invece il flusso di attività con transazioni completamente on-chain, un po’ come fanno altri marketplace come OpenSea o Rarible, e abbraccia a pieno l’etica decentralizzata di Web3 in un processo che mira a fornire trasparenza su portafogli e pagamenti. Aggiungendo anche l’implementazione di strumenti per la sicurezza, la conformità legale e la fiscalità, altri temi assai spinosi in questo ambito. Come segnalato infatti a riguardo da Nicole Sales Giles, direttrice delle vendite d’arte digitale di Christie’s: “Incorporando gli strumenti normativi, come l’antiriciclaggio e l’imposta sulle vendite, sia i collezionisti esperti che i nuovi collezionisti di NFT possono sentirsi sicuri nelle transazioni con Christie’s 3.0”.
A conferma di un’espansione significativa, dunque, per un mercato degli asset digitali che si munisce di cornici normative e offre il proprio contributo di peso nei processi di validazione degli NFT come forma d’arte a tutti gli effetti e come concreta categoria collezionistica.
MUSEI, COLLEZIONI E POSSIBILI SVOLTE NELLA STORIA DELL’ARTE NFT
“È interessante come questa creatività sia partita fuori dal mondo dell’arte, dal dominio specializzato in arte digitale, andando lentamente e progressivamente a riecheggiare nel panorama generale dell’arte”, hanno notato su Artnet i curatori Marcella Lista e Philippe Bettinelli, che sovrintendono alle scelte in materia NFT per il Pompidou, rispetto a opere legate alla blockchain che “stanno spostando molti confini”. Anche in termini di apprezzamento critico, e quindi non solo sul versante economico e finanziario.
Certo lo scenario della galassia NFT e la sua percezione nel sistema dell’arte più tradizionale è stato stravolto di parecchio dall’arrivo in asta di Everydays: The First 5000 days di Beeple, tanto che il suo sonoro totale oltre i 69 milioni di dollari da Christie’s continua a essere un termine ante quem e post quem. Un momento di svolta che ha acceso, apparentemente all’improvviso e in modo repentino, i riflettori su un mondo che era stato fino ad allora nell’ombra, parallelo e ignoto ai più, al di fuori delle community dedicate. Il che però non significa che quell’universo non fosse esistente, ma anzi è sempre stato evidentemente in gran forma e in pieno dinamismo. E pronto a conquistarsi fette di torta sempre più grandi. Perché di certo, a citare sempre Lista e Bettinelli, “NFTs didn’t come ‘out of the blue’”. Ovvero, questa tecnologia e le opere che consente di realizzare non sono spuntate fuori dal nulla, anche se così ci può essere sembrato. E, restando ancora un attimo sul caso del Pompidou, sembra essere arrivato il momento anche di trovare loro un posto nella storia dell’arte Post-War e contemporanea. Per il museo francese, nello specifico, quel posto sarà da individuare, dalla prossima primavera, in prosecuzione delle ricerche concettuali e minimal, con il progetto di esporre nello spazio a loro destinato anche la collezione NFT e digital. Così come, a non voler liquidare la faccenda in modo frettoloso, proprio la riduzione dei volumi delle possibili condotte speculative potrebbe in realtà stare aprendo ora a una nuova fase della storia dell’arte NFT. Caratterizzata da una più distesa riflessione critica e curatoriale che accompagna e consente l’assorbimento e l’ingresso di token artistici nel sacro recinto dell’istituzione museale e in nuove tipologie di collezioni private. O magari, invece, il tempo degli NFT è ancora di là da venire e come tutte le strade di innovazione richiede un tempo maggiore di comprensione, sia per chi ne fa che per chi ne desidera possedere. Durante una puntata di Nifty Alpha Podcast, un programma di informazione/intrattenimento per investitori NFT, uno degli ospiti ha detto qualcosa che in italiano potrebbe suonare all’incirca così: “Ci è molto chiaro in questi giorni che gli NFT potrebbero non essere il futuro in questo esatto momento”. Un po’ una battuta, un po’ anche un pensiero condivisibile, temporaneamente però, perché poi in effetti si è concluso: “It’s the future, but just not today”.
I MUSEI AL COSPETTO DEGLI NFT: 3 MODELLI DI COMPORTAMENTO
Durante il banchetto speculativo degli NFT, il museo ha interpretato il ruolo del Convitato di Pietra. Figura per eccellenza dell’autorità istituzionale e del gatekeeper di cui l’architettura del Web3 proclamava a gran voce l’inutilità, non ha cessato di essere un modello di riferimento ideale per qualsiasi crypto-investitore che avesse ammassato un numero sufficiente di token. Il coraggio sperimentale di istituzioni come il MAK di Vienna, che già nel 2015 compra in Bitcoin un lavoro di Harm Van Den Dorpel certificato su blockchain, o dello ZKM di Karlsruhe, che nel 2017 acquisisce quattro CryptoPunks (“bruciando” accidentalmente il certificato di due di questi nel 2021), è stato occasionalmente sbandierato come proof-of-concept, attestazione della legittimità della soluzione e dell’arte che veicola, ma senza troppa enfasi. Ma per lo più le istituzioni hanno proceduto con cautela, giustamente preoccupate dalla sfida al loro ruolo, dalle difficoltà tecniche, dalla mancanza di competenze curatoriali specifiche, dalle problematiche legali e fiscali implicite nell’adozione delle criptovalute. Resi intraprendenti dal calo delle visite della fase pandemica, alcuni si sono divertiti a monetizzare (in valuta nazionale) il valore culturale di alcuni capolavori in collezione, vendendo edizioni digitali certificate.
All’indomani del boom, il volume delle vendite si è stabilizzato a livelli pre-Everydays, ma è innegabile che lo scenario sia radicalmente cambiato. C’è molta più curatela. C’è meno speculazione e più collezionismo. Si è ampliato il numero di artisti che non si proclamano crypto artist, che non si limitano a vincolare a un token i loro jpg, ma che sperimentano attivamente – e spesso criticamente – con la tecnologia, lavorano a progetti ibridi, plasmano comunità, giocano con le potenzialità dei codici generativi su blockchain. Anche i musei si stanno ritagliando un ruolo diverso, non sempre virtuoso, applicando diversi modelli, spesso intrecciati tra loro. Il primo consiste nel barattare legittimazione in cambio di visibilità, e occasionalmente di introiti: è la strada seguita, in modi diversi, dal MoMA con Unsupervised di Refik Anadol, da Palazzo Strozzi con Let’s Get Digital!, dal Castello di Rivoli con l’esposizione dell’installazione Human One di Beeple. Il secondo è integrare, in maniera più o meno spiccata, gli NFT nella propria narrazione del contemporaneo e del rapporto tra arte e linguaggi digitali: ne sono esempio mostre come Peer to Peer, curata da Tina Rivers Ryan per il Buffalo AKG Art Museum; DYOR curata da Nina Roehrs per la Kunstalle Zürich, o il lavoro continuativo svolto da Christiane Paul al Whitney Museum. Il terzo è la costituzione di una collezione, come è accaduto al LACMA (che ha accolto una donazione di ventidue NFT da parte del noto collezionista Cozomo de’ Medici), al Centre Pompidou (che ha acquisito 18 NFT realizzati da artisti francesi e internazionali) e ancora all’AKG (che ha acquisito tutte le opere commissionate per Peer to Peer).
In tutti questi casi, il rischio – che si fa più acuto nel caso di donazioni in blocco come quella di de’ Medici – è la legittimazione di interessi privati e di pratiche non rilevanti, ma baciate dal successo economico; la cura è, ancora e sempre, il rigore della curatela e la sua capacità di selezionare e restituire importanza alle pratiche qualitativamente e storicamente più significative.
Domenico Quaranta
NINFA: UNA PIATTAFORMA E UNA GALLERIA PER GLI NFT A MILANO
Nata a giugno del 2022 come piattaforma online per la promozione e la vendita di NFT e arte digitale, con una particolare attenzione alla curatela, Ninfa si è caratterizzata subito come una start-up in evoluzione. E infatti, a distanza di pochi mesi dal lancio, è arrivato a ottobre anche il raddoppio fisico, con l’apertura di una galleria a Milano. Gli artefici? Quattro giovani con esperienze nella consulenza strategica nel mondo blockchain e una passione sia per l’arte che per le crypto valute. A loro abbiamo chiesto di raccontarci sia gli sviluppi di Ninfa che uno sguardo dall’interno su un fenomeno sfuggente, quello degli NFT, che rischia di replicare l’asimmetria informativa che ha sempre caratterizzato il sistema dell’arte tradizionale, mentre vorrebbe sovvertirne regole e legacci. E di aiutarci in fondo a comprenderne punti di forza, criticità, potenziale.
Come nasce il progetto di Ninfa?
Ninfa nasce da Brando Bonaretti, Carlo Borloni, Cosimo De Medici e Pietro Barbini, tutti con alle spalle anni di consulenza strategica in BCG, blockchain coding, e passione sia per l’arte che per le crypto valute. Sulla carta l’idea nasce nel 2021, e dopo una veloce fase di prototipazione e un primo round di finanziamento (come ogni start-up innovativa), Ninfa.io viene ufficialmente lanciata nel giugno 2022.
Quale è stata l’intuizione di partenza?
In un mondo sempre più digitale, l’identità virtuale di una persona diventa fondamentale. Gli individui avranno dunque bisogno di personalizzare anche il proprio io virtuale. E quale miglior modo di definire la propria identità se non collezionare? L’idea di fondo è stata creare una piattaforma curata che diventi un punto di riferimento per gli utenti in cerca di collectibles digitali lungo diverse verticali, a partire dall’arte. Una boutique con opere e ticket molto vario, da 300 a 100mila euro.
Come funziona una piattaforma che ha la necessità di salvare l’aspetto curatoriale e offrire un catalogo vasto e internazionale?
Ninfa si appoggia a una serie di gallerie e curatori partner, che una volta selezionati possono dimenticare la tecnologia e fare arte, invitare i propri artisti, gestirne gli NFT e guadagnare una percentuale sulle vendite. Le application sono sempre aperte.
Che valutazione fate di questo primo periodo?
In soli dieci mesi, Ninfa conta più di 600 artisti internazionali, per un totale di quasi un milione di euro di opere sulla piattaforma. Lavora con 30 delle realtà curatoriali più interessanti nell’ecosistema crypto ed è presente in oltre 80 Paesi. Solo il 15% del traffico della piattaforma è italiano, nonostante siamo ora il leader di mercato in Italia e in Europa, posizionandosi come sesto marketplace curato al mondo per volumi venduti al mese nel segmento Crypto Art. Ci siamo tolti anche qualche soddisfazione come start-up, essendo stati nominati da StartupItalia tra le 10 realtà italiane più promettenti sul metaverso e da Sifted.eu tra le start-up da tenere d’occhio nel 2022 in Italia.
Cosa ha aggiunto lo spazio fisico di Milano?
Ninfa Labs ha segnato un altro momento importante per noi. Al momento è l’unica galleria di arte digitale di proprietà di un marketplace al mondo. Dopo l’opening di ottobre, con circa un migliaio di partecipanti presenti, abbiamo collaborato su più di otto mostre con i più grossi collezionisti e artisti di NFT al mondo (Cozomo de’ Medici, punk6529, 33nft, seerlight, Grant riven yun, zhuk). Lo spazio è diventato ormai un luogo di aggregazione per gli attori principali di questo settore in Italia e per gli appassionati internazionali in visita.
Quali fattori hanno attirato l’attenzione di un pubblico più ampio per il mondo NFT?
Da un punto di vista romantico, come micro-collezionista d’arte, penso che sia per tutti stata affascinante l’idea di poter possedere, in modo curato, qualcosa di digitale. Così è stato per me, ed è uno dei motivi che mi ha spinto verso la fondazione di Ninfa: l’idea di poter creare un marketplace digitale che, alla frontiera del retail, può vendere un prodotto che è anch’esso puramente digitale. È incredibile, a pensarci.
E nell’arte nello specifico?
Per il mondo dell’arte è la stessa cosa, e penso che in molti abbiano riconosciuto la possibilità di scoprire i campioni di questa nuova rivoluzione artistica o periodo artistico, e quindi abbiano iniziato in primis a studiare e poi a collezionare alcuni pezzi. Se avessimo l’occasione di collezionare un Picasso o un Modigliani a centinaia di euro, non ne saremmo entusiasti?
Qual è il potenziale degli NFT attualmente?
Penso che la cosa più sorprendente sia l’inclusività dell’ecosistema, sicuramente presente anche nel mercato online dell’arte fisica, dove un artista può mostrare e vendere a tutto il mondo le proprie opere tramite una pagina internet. Nel mondo NFT tutta questa velocità viene ulteriormente accentuata dal fatto che l’opera sia digitale e che quindi possa volare istantaneamente nella collezione dell’acquirente. Per parlare di numeri invece è un’industria che è passata da 20 milioni a 20 miliardi in qualche anno, e di questi l’arte vale circa un quarto, mentre il potenziale stimato è sul trilione e mezzo entro il 2030.
Quali sono gli sviluppi possibili per il futuro dell’arte NFT?
Se penso a mio fratello di 12 anni, e a tutte le nuove generazioni nate e cresciute dal digitale, è altamente probabile che il loro modo di collezionare arte venga influenzato dal digitale e che, quindi, anche guardando al mondo dell’arte una volta cresciuti, si sentano più a proprio agio a esprimersi tramite l’arte digitale rispetto a quella fisica, sia come artisti che collezionisti.
Allo stesso tempo, con la crescente virtualizzazione degli spazi e delle connessioni umane, ci si può immaginare video call nel metaverso, intere sale riunioni e ville ricostruite nel metaverso, e non potremmo mica portarci i Picasso lì! Se poi consideriamo gli NFT come tecnologia abilitante per provare la proprietà di un qualsiasi asset digitale, indipendentemente che sia un’opera o meno, beh, siamo solo agli inizi.
GLI NFT E IL SISTEMA DELL’ARTE. UN MUSEO PER L’ARTE DIGITALE
Quali gli scenari davvero concreti, fuor di bolle di speculazione e gergo da crypto-fan, per gli NFT? E più ampiamente anche per l’arte digitale? Sono alcune delle domande di partenza per il tempo presente e per quello futuro. Ne abbiamo parlato con Ilaria Bonacossa, storica dell’arte, curatrice, già alla guida della fiera Artissima di Torino e ora direttrice del Museo Nazionale dell’Arte Digitale, il MAD, che aprirà a Milano nel 2026 e a cui, in attesa della casa nel cuore di Porta Venezia, sta dando visione, forma e struttura. Proprio per cercare di capire poi quale potrà essere anche il ruolo delle istituzioni in un territorio, quello dei media digitali, ancora tutto sommato da mettere a fuoco.
Quale è l’idea che ti sei fatta delle dinamiche e relazioni tra il sistema dell’arte consolidato e l’emergere di nuovi player dal mondo dell’arte digitale?
Credo che gli attori del mondo dell’arte tradizionale e i nuovi player dell’arte digitale si stiano studiando e non siano ancora riusciti a interagire in maniera sinergica e costruttiva.
Quali sono le rispettive posizioni al momento?
Il mondo dell’arte digitale vorrebbe fare piazza pulita del vecchio establishment, di cui però non conosce bene né la storia né le vere tematiche. E tuttavia, al contempo, gli artisti digitali sognano che le loro opere vengano presentate nei musei.
E il sistema tradizionale intanto?
Il mondo dell’arte tradizionale tenta in maniera miope di rifiutare come “non arte” la rivoluzione digitale, senza rendersi conto che tutte le grandi trasformazioni tecnologiche, come la nascita della fotografia, sono state rifiutate proprio nello stesso modo, salvo poi diventare centrali alla creatività contemporanea.
Quali i rischi delle condotte spregiudicate e speculative in questo frangente?
La problematica è complessa, in quanto nel mercato dell’arte da ormai quasi vent’anni vediamo che il valore economico delle opere d’arte sembra essere predominante sul valore simbolico delle opere e, come per tutti i fenomeni, il mondo digitale ha accelerato e amplificato proprio questa tendenza in atto.
In che modo?
Il mondo dell’arte digitale scommette sulla disintermediazione del mondo dell’arte, o almeno su una nuova forma di intermediazione legata alle piattaforme e alle criptovalute. Questa rivoluzione, teoricamente utopica, nei fatti si è concentrata più sulla speculazione, portando il valore economico a essere l’unica variante per il successo di un artista sulle piattaforme di vendita digitale.
Eppure proprio in questo momento stiamo assistendo all’assunzione di un ruolo centrale e strategico delle istituzioni, non credi?
Mi pare che questo apra piuttosto alla necessità di nuove istituzioni, come il Museo Nazionale di Arte Digitale, che possano concentrarsi sull’arte digitale non solo per fare investimenti e speculazioni, ma per scrivere la storia del presente e delle sue manifestazioni artistiche.
https://www.beniculturali.it/ente/museo-nazionale-dell-arte-digitale
Cristina Masturzo
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #71
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