Se lo sciamanesimo e le tecniche estatiche risalgono a un passato ancestrale, è anche vero che le avanguardie artistiche hanno sempre risentito dell’influsso dello spiritualismo, occultandolo sotto istanze moderniste. Dai disegni astratti della teosofa Annie Besant all’astrattismo spiritualista di Vasilij Kandinskij, dal cubismo orfico al Futurismo esoterico, dall’immaterialismo di Yves Klein alla rivisitazione di pratiche sciamaniche da parte di Joseph Beuys fino alla cultura psichedelica degli anni ’70.
In questo filone si inserisce Project Revelation, percorso esperienziale ospitato fino al 28 luglio presso Bank Space a Milano che raccoglie le opere prodotte da The Prism (nome d’arte di Stefano Simontacchi) nell’arco dell’ultimo decennio, utilizzando la tecnica combinata delle audiowalk e di light boxes in ambiente immersivo. E che ha un solo protagonista: il visitatore, chiamato – come evocava Marcel Duchamp – a metterci del suo per completare l’opera. “Spiritualità e arte possono sembrare due concetti molto lontani”, spiega il curatore della mostra Marco Senaldi, “ma la rivelazione estetica, nel suo senso più profondo, non è altro che l’epifania di quell’Essere che tutti siamo”.
LA MOSTRA DI THE PRISM A MILANO
Sette – numero altamente simbolico – sono le sale che lo spettatore attraversa immergendosi in un viaggio verso la riscoperta del sé, ciascuna caratterizzata da un nome e una funzione. La prima, Recharge and Rebalancing, ci induce a oltrepassare la frammentazione psicologica iniziale; la seconda, Spiritual Enhancer, a indurre una reazione mentale a cui fa seguito Rebirthing, dove inizia il percorso di rinascita interiore, per passare ad Higher Self, raggiungere The Hole of The Awareness, prendere visione di Hidden Treasure e infine approdare alla stanza più “elevata”, quella dell’appuntamento con noi stessi, Soul Meeting (I AM).
IL FILM DI THE PRISM CON PROTAGONISTA MALIKA AYANE
In concomitanza con la mostra, The Prism ha presentato anche un film omonimo, un cortometraggio ambientato nello spazio post industriale dell’ex-scalo di Porta Genova. Sceneggiato da Ernesto Giuntini, su soggetto e testi di The Prism, il film è un’evocazione poetica e surreale dell’universo artistico e mentale dell’autore. Le opere retroilluminate si inseriscono come imponenti figure nell’ambiente buio, proprio come accade nella mostra al Bank Space, e sono “visitate” da una spettatrice d’eccezione, la cantautrice Malika Ayane. Il film è diretto da Jacopo Farina, fotografo ritrattista per Contrasto e regista di video di artisti italiani come Cosmo, Zen Circus, Baustelle e altri, nonché autore di video per Fondazione Prada, Triennale e Fondation Cartier. Ad oggi, conta più di un milione di visualizzazioni su Youtube.
INTERVISTA A THE PRISM
Personalità da anni ai vertici della professione legale e della vita economica italiana, Stefano Simontacchi all’attività professionale e imprenditoriale associa l’impegno etico, culturale e umanitario. Gli abbiamo fatto alcune domande a proposito di spiritualità, sciamanesimo, espressione artistica e archetipi.
Il nome The Prism da dove arriva?
Da una meditazione: non l’ho scelto, è arrivato. Non ha un significato particolarmente concettuale. Quello che sembra un apparente dualismo stonato – essere contemporaneamente un artista e un avvocato – in realtà non sussiste. The Prism è un’entità che produce opere d’arte intese come dispositivi di approfondimento spirituale, ma è anche un modo di concepire la vita, un’idea che diventa progetto dopo una profonda crescita interiore, che si traduce in manifestazioni capaci di aprire canali emotivi di comunicazione tra il mondo visibile e il mondo dell’invisibile.
Andando a ritroso: raccontaci il percorso che ha portato a questa mostra, che racchiude il lavoro di ricerca di quasi un ventennio.
Ho iniziato a fare arte, nello specifico disegni, per gli altri. Avevo intuito inconsapevolmente che queste opere su carta o su legno avevano una proprietà taumaturgica su chi le riceveva, sprigionavano un’energia potente e inaspettata. Qui, siamo arrivati per caso. Anche il luogo ha scelto me direi, non il contrario. A colpirmi, il caveau, ambiente che ricorda la caverna cosmica con questa sua dimensione uterina, con il corridoio strettissimo che allude all’idea di compiere un percorso nella profondità di se stessi (ecco spiegato il motivo per cui la mostra va visitata singolarmente). Il concept delle stanze è arrivato poi, come un’epifania: la visita è accompagnata da audiowalk, è guidata dalla mia voce che segue le brain waves, frequenze che man mano conducono il visitatore verso uno stato di pace.
Una mostra questa dalla forte valenza esperienziale, sensoriale, in cui è predominante la dimensione onirica e immersiva…
Una dimensione intima, personale, di profondità, a metà tra un rituale di psicomagia alla Jodorowsky e un viaggio sciamanico. Entrare in Project Revelation significa intraprendere un viaggio emozionale che, avvalendosi dell’utilizzo del suono, della luce e del colore, permette allo spettatore di risvegliare dentro di sé immagini e archetipi dimenticati, tramite la contemplazione delle opere e la meditazione.
Centrale per lei è il tema dello sciamanesimo, dell’archetipo e della simbologia mistica. Ci spieghi meglio.
Il numero 7 delle stanze, il formato circolare dei miei quadri, sono parti simboliche dello sciamanesimo: il cerchio è la forma geometrica perfetta in cui ogni parte è equidistante dal centro, ma è anche la forma scelta per la meditazione. Avete presente i sigilli di Re Salomone? La circonferenza delimita lo spazio dell’esperienza; lo spazio bianco quello delle infinite possibilità e i simboli iscritti – molti dei quali nascosti – sono chiavi di accesso a cui ognuno dà libera interpretazione spirituale. I miei disegni sono forme di sigilli. Anche l’uso del colore ha i suoi simbolismi. Usare colori sfumati e sfocature mi consente di superare il conscio e arrivare all’inconscio, lì dove si annidano le emozioni profonde.
Tornare a concepire l’arte come qualcosa che guarisce. È questo l’obiettivo?
È proprio questo lo scopo del progetto: tornare a concepire l’arte come un dono da mettere al servizio dell’uomo, permettendo una guarigione dell’anima, per vivere, respirare ed esistere nella piena consapevolezza del sé. Come nella tipica tradizione sciamanica, è un vero e proprio stato di trance estatica che muove The Prism a creare i suoi lavori, che nascono nel momento in cui lo stato meditativo lo conduce a divenire un “canale vuoto”, generatore di opere intese non come manufatti estetici, ma come portali energetici.
A proposito di collaborazioni, intellettuali e creative: un filosofo, un regista, una cantante. È stato infatti realizzato anche un cortometraggio che vede protagonista Malika Ayane: perché questa scelta?
Così come Senaldi, anche Malika Ayane l’ho conosciuta per caso. E anche il regista doveva essere un altro! Poi ho incontrato Jacopo Farina, che è un giovane fotografo e videomaker appassionato di sciamanesimo e… Ci siamo subito connessi. Questo a dimostrazione che per quanti piani uno voglia fare poi alla fine l’universo mette in fila le cose, non può essere solo una sequenza casuale. A proposito del cortometraggio: lo abbiamo girato in due giorni ed è stata un’esperienza bellissima. Rappresenta una persona che dialoga con la sua anima, uno specchio attraverso cui le due parti si ricongiungono.
Tre parole per descrivere questo progetto.
Esperienza, Emozione, Energia.
Quali sono i suoi riferimenti?
Provo a non avere riferimenti. Ovviamente ci sono artisti che mi piacciono, artisti che stimo moltissimo e ammiro, Christo, Boetti, Hirst… Meravigliosi, grandissimi, ma non li considero miei riferimenti artistici. Piuttosto, grande ispirazione l’ho avuta da Carl Gustav Jung e dall’immaginazione attiva descritta nel suo Libro Rosso, pratica che lui teorizzò come strumento di scoperta e analisi dell’inconscio.
Giulia Mura
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