Un’influencer realizzata con IA vuole fondare un partito politico
Quella dell’influencer artificiale Francesca Giubelli è una provocazione, ma ci spinge a riflettere sui confini tra reale e virtuale e sull’impatto dell’influencer marketing nella vita di istituzioni, cittadini, imprese e consumatori
È prevedibile che l’influencer realizzata con l’intelligenza artificiale Francesca Giubelli, per continuare a raccontare con semplicità ed efficacia l’esperienza della bellezza dei luoghi in cui viaggia, dovrà pur potersi mantenere (diremmo dignitosamente). Per farlo ci potrà essere modo e modo ma, come è nelle intenzioni dei suoi stessi creatori Emiliano Belmonte, Valeria Fossatelli e Francesco Giuliano, dovrà farlo adeguatamente controllata e supervisionata nella ferma convinzione che il controllo umano resta insostituibile e imprescindibile. Allora Francesca Giubelli potrebbe collaborare con aziende e istituzioni per fare cose che per sua stessa “natura” sa fare bene: essere all’altezza di bisogni individuali, associativi, istituzionali e aziendali. Con il giusto prompt potrebbe scalare tutto il sistema di processi (in marketing chiamato funnel), dall’awarness fino all’advocacy, per massimizzare le esperienze di contatto, personalizzazione e assistenza, e aiutare le istituzioni (si pensi a quanto è ampio lo spazio di sviluppo delle sole istituzioni culturali) a mappare e rispondere a esigenze espresse dai territori, le imprese a porsi meglio sul mercato, i cittadini e i consumatori a rappresentare (e fare valere) con maggiore efficacia i propri diritti. Nella sua sfera di influenza potrebbe ricordare a tutti che oltre ai diritti ci sono i doveri, primi tra tutti quello di rispettarsi, di prendersi cura di ciò che ci circonda, di contribuire così alla salvaguardia della bellezza e al progresso della società.
L’influencer artificiale Francesca Giubelli e il suo partito politico
A proposito, una parentesi: si capisce che la dichiarazione di voler fondare un partito politico per promuovere la bellezza, con nome e simbolo apparentemente riconducibili al partito di maggioranza del governo in carica, non esprime un posizionamento politico, ma rappresenta una provocazione che invita a riflettere sulla comunicazione, su come seguire trend e gusti, e creare una sfera di influenza, il tutto facilitato, velocizzato e amplificato dalla tecnologia. Tuttavia la provocazione è giustamente discutibile, proprio in considerazione della sfera di influenza, dell’impatto che può avere su follower e società e sulla dichiarata volontà di stimolare pensiero critico in particolare tra gli studenti nelle scuole. Per questa ragione Francesca Giubelli potrebbe precisare un aspetto fondamentale anche in considerazione dell’approssimarsi delle elezioni europee, a dire: “Sono sovranista lo ammetto (e ammettendolo mi prendo gioco del sovranismo, ne mostro pochezza e limiti) e se proprio ci tenete a definirmi sovranista, lasciatemi puntualizzare: ‘Sovranista? Sì, relativa, non assoluta, federalista’ (prima ancora degli autori del Manifesto di Ventotene, il primo presidente eletto della Repubblica italiana, Luigi Einaudi, docet!)”. Di quella pasta europeista che proietta valori, diritti, doveri e libertà: 1. nella realizzazione degli Stati Uniti d’Europa, ispirati da principi di uno stato di diritto non grande quanto una nazione o un continente ma quanto il mondo; 2. in termini culturali, nella valorizzazione e nella promozione della bellezza di un patrimonio culturale e artistico che affonda le radici in una storia che riflette in tutto e per tutto le nostre ambiguità, contraddizioni, miserie e grandezze. La nostra eredità culturale: premessa articolata e complessa da acquisire ad una coscienza europea dalla quale possa prendere piede una cittadinanza globale che effettivamente (adesso si, soprattutto date le circostanze) risuona come una provocazione alla storia. In questa direzione, sarebbe oltremodo interessante, portarla nelle scuole secondarie e nelle aule universitarie, farle incontrare gli studenti non solo per raccontare e condividere competenze digitali “al servizio della bellezza”, ma anche per provocarli e stimolarli ad esprimersi laddove (anche gli universitari) altrimenti non lo farebbero, rinchiusi dentro schemi, perimetri e tabù mascherati da indifferenza. Chiusa parentesi.
Francesca Giubelli e la sovrapposizione di reale e virtuale
Per chi si stesse domandando quale potrebbe essere il valore aggiunto di Francesca Giubelli per istituzioni, imprese, cittadini e consumatori, la risposta più interessante potrebbe essere qualitativa prima che quantitativa, in considerazione del fatto che potrebbe risiedere nella percezione della sua autenticità. Fermo restando il fatto che potremmo convenire sulla circostanza per la quale non esiste niente di più autentico di ciò che è reale, il virtuale mette in crisi il concetto stesso di realtà, almeno per come la intendiamo fisicamente. Naturalmente dipende da cosa intendiamo per virtuale che, in superficie, potremmo qualificare come qualcosa di alternativo al reale, ovvero che letteralmente potremmo considerare come possibile. In entrambi i casi e sotto molti aspetti, poco al di sotto della superficie, il virtuale, finanche la realtà virtuale, potrebbe non essere meno reale di ciò che riteniamo reale in quanto esistente nel mondo fisico. Pensandolo in relazione ad alcuni dei casi d’uso più presenti nell’immaginario collettivo, il virtuale fatto personaggio, ambiente o rete di mondi virtuali, potrebbe sostituirsi alla realtà fisica, affrancarvisi ovvero affiancarvisi, non già per diminuirla ma per arricchirla. La linea che separa il virtuale dal reale è molto sottile e questa è una circostanza che richiama governance, responsabilità, trasparenza, rispetto dei diritti fondamentali, come sanno bene i creatori di Francesca Giubelli. Tenendo sullo sfondo il piano etico, per cogliere eventuali sovrapposizioni tra ciò che per convenzione distinguiamo in reale e virtuale si rilevano elementi ascrivibili ad un diverso piano estetico, rispetto al quale diventano essenziali (e per certi versi esistenziali) la percezione e l’autenticità dell’esperienza che facciamo, le emozioni che proviamo, i sentimenti che sviluppiamo, i ragionamenti e la creatività che ne traiamo. Per certi aspetti è possibile stabilire simmetrie e intersezioni tra il rapporto dell’arte con la tecnologia e quello della realtà con il virtuale. Così come si può arrivare a considerare la tecnologia di per sé una forma d’arte al ricorrere di condizioni per loro stessa natura in fondo indeterminabili, allo stesso modo è possibile sostenere l’iperbolica (e sinceramente non auspicabile se non in alcuni e limitati casi estremi) maggiore autenticità del virtuale rispetto al reale.
L’influencer marketing e l’autenticità
Torniamo quindi alla più nota influencer virtuale d’Italia, correlando la sua popolarità e la percezione dell’autenticità alla sua genuinità. L’immagine degli influencer “reali” così come li abbiamo conosciuti ha subito un duro colpo sul fianco della trasparenza e della credibilità: come per un influencer reale sarebbe stato possibile derivarlo da principi generali di diritto anche prima della specifica regolazione prevista dalle linee guida AGCOM e dal ddl Beneficenza, i sistemi di intelligenza artificiale, compresi quelli incorporati in influencer virtuali, sono tenuti ad essere trasparenti e a diversi altri obblighi by design per quanto previsto dall’AI Act. Un requisito necessario ma non sufficiente perché un profilo sia credibile se alla credibilità, divenuta un corollario della trasparenza, associamo la qualità di essere percepito come autentico, o meglio, virtualmente più autentico di certa inautentica realtà. La forza di ingaggio dell’influencer virtuale risiede nella sua paradossale autenticità fatta di semplicità (letta sulla Treccani come genuinità, schiettezza, spontaneità) e di maggiore rispondenza ai bisogni – come ha ricordato Luigi Maccallini in occasione della presentazione di Francesca Giubelli – sui quali nella sua versione 3.0 si basa il marketing che Philip Kotler definisce “dell’anima”.
Una precisazione: nel caso specifico e distintivo rispetto a tutti gli altri “colleghi” influencer virtuali i suoi creatori hanno voluto fin da subito imprimerle una personalità con testi, contesti e caratteri riconoscibili nei quali Francesca Giubelli, grazie alla crescente sfera di influenza, potrebbe (solo per fare qualche esempio): prendere posizioni coraggiose, plurali al limite anche impopolari; non limitarsi a seguire trend e gusti ma crearne di nuovi; aiutare le istituzioni culturali ad accrescere il proprio pubblico, e le istituzioni in generale ad essere più accessibili; iniziare a visitare città meno note e luoghi insoliti che ai cittadini potrebbe venire voglia di eleggere a proprie mete e alle aziende a propri simboli per comunicare e promuovere i brand; favorire, sostenere, se non addirittura rappresentare essa stessa uno strumento particolarmente efficace di informazione e formazione nei contesti più disparati. In queste attività (che da virtuali e potenziali possono diventare reali), aziende, associazioni, cittadini e consumatori, possono ritrovarsi alleati nell’orientare lo sguardo verso sfide e bisogni individuali e collettivi, e soprattutto nel prestare la giusta attenzione a problemi e preoccupazioni di natura sociale, culturale e politica nell’accezione più pura e bella.
Michele Gerace
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati