A Milano un’installazione immersiva racconta la lotta alla segregazione razziale
Al MEET Digital Culture Center un’esperienza in realtà aumentata fa rivivere ai visitatori la storia di Claudette Colvin, studentessa afroamericana che nel 1955, in Alabama, si rifiutò di cedere il proprio posto a una donna bianca
Al MEET Digital Culture Center di Milano c’è un’installazione immersiva in realtà aumentata che permette al visitatore di provare sulla propria pelle l’esperienza della segregazione razziale. Si intitola Noire, e consente ai fruitori di rivivere quanto accaduto alla studentessa afroamericana Claudette Colvin nel 1955 a Montgomery, in Alabama, quando la ragazza, allora quindicenne, si rifiutò di cedere il proprio posto a una giovane donna bianca. Nonostante le minacce, lei decise di rimanere seduta e per questo finì in prigione. Eppure il suo gesto non è famoso come quello di Rosa Parks, che si ritrovò nella stessa situazione nove mesi dopo.
La storia di Claudette Colvin diventa un’installazione immersiva a Milano
Il progetto è stato inaugurato il 3 febbraio, si basa sul saggio del 2015 di Tania De Montaigne, Noire, la vie méconnue de Claudette Colvin, e consiste in un’installazione immersiva con AR HoloLens 2 (occhiali che consentono di vedere contemporaneamente la realtà e il virtuale) e cuffie a conduzione ossea con cui gli spettatori, dieci alla volta, entrano sul set creato per l’occasione. L’esperienza – prodotta da Emanuela Righi e Patrick Mao Huang e dall’impegno di un team di esperti – è accessibile previa prenotazione, e ha una durata di 32 minuti.Fruibile al MEET fino al 10 marzo, l’installazione, è stata prodotta da Novaya, in collaborazione con il Centre Pompidou e coprodotta da Flash Forward Entertainment (Taiwan). L’adattamento è frutto del lavoro dei registi Stéphan Foenkinos e Pierre-Alain Giraud.
Le parole di Maria Grazia Mattei, Presidente del MEET
“I registi avrebbero potuto declinare la storia in un documentario o in uno spettacolo”, commenta Maria Grazia Mattei, Presidente del MEET, “invece hanno pensato che fosse una storia che le persone avrebbero dovuto vivere. E per vivere gli eventi del passato è necessario immergersi nella storia. Entrare dentro la scena, come se si stesse assistendo ai fatti accaduti dentro l’autobus”. “Più che una nuova tecnologia è un nuovo linguaggio, un ‘immersive storytelling’”, prosegue Mattei “per raccontare storie come queste, che hanno una dimensione sociale forte, utilizzando la realtà aumentata come valore aggiunto. É un linguaggio partecipativo, che cattura molto più di altri l’attenzione e la memoria dello spettatore, per il maggiore livello di coinvolgimento. Si stanno sempre più sviluppando tecnologie che creano una realtà mista, fisica e contemporaneamente virtuale”.
Verso nuove modalità narrative digitali
Si auspica, dunque, che queste nuove modalità di racconto, d’impatto, riescano a sensibilizzare il pubblico sui temi sociali e della discriminazione che sono, purtroppo, sempre attuali, sebbene diverso sia il contesto storico contemporaneo. “Noi ci teniamo molto che si aprano riflessioni e dibattiti”, commenta ancora Mattei, “è necessario utilizzare le nuove tecnologie in maniera creativa, per elaborare nuovi linguaggi, non per il solo fatto di utilizzarle. Serve coerenza del metodo narrativo con la storia che si vuole narrare. E al MEET interessa rivelare le potenzialità creative delle nuove tecnologie”. Un’istituzione che, attualmente, è tra le poche realtà espositive e di ricerca sul digitale in Italia (si veda anche l’esperienza di Rifugio Digitale a Firenze).
Giulia Bianco
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