L’arte rende l’essere umano migliore. Le intelligenze artificiali ce lo insegnano 

Se è vero che nell’arte il prodotto finale conta quanto il percorso di ricerca attraverso cui emerge, essa continuerà a essere appannaggio umano, persino nell’era dell’intelligenza artificiale

Lunedì. Sei del mattino. Scendi per andare in ufficio e per strada, c’è un uomo, sulla settantina, che fa jogging. La sera esci dall’ufficio, e trovi un gruppo di ragazzi in metro che prova una coreografia. Torni a casa e tua figlia sta suonando il piano.  
Nessuna di queste persone sta lottando per l’olimpo della propria disciplina: l’uomo si tiene in forma; i ragazzi si divertono; tua figlia sta imparando a suonare un brano che non riesce ad eseguire come vorrebbe. Per salute, svago o testardaggine: lo fanno perché fa bene alla loro vita. Poco importa se tua figlia non suonerà in un’orchestra. In modo del tutto imprevedibile, il suo incessante riprovare lo stesso brano sarà parte della sua vita.  

L’importanza della ricerca artistica 

Si tratta di riflessioni pacifiche, che però quando vengono applicate al “mondo delle arti figurative” sfuggono di mano, fino a perdersi completamente dietro un approccio che si concentra esclusivamente sul prodotto finale. È invece giusto ribadire che il prodotto finale conta. Ma non è il valore assoluto dell’esperienza. Anche negli ambienti più critici, questo aspetto è pienamente riconosciuto. Chi frequenta mostre o legge riflessioni sull’arte, avrà familiarità con il concetto di “ricerca artistica”. Chi apprezza un artista non apprezza esclusivamente la forma finale delle sue opere, ma ne indaga anche il percorso di ricerca, di approfondimento, di analisi, di studio, di immedesimazione che l’artista esercita nella propria vita quotidiana e che trova nell’opera finita una testimonianza. Il che, detto assumendo un punto di vista differente, equivale a dire che quello che si apprezza dell’artista è la persona che è il frutto del proprio percorso artistico. 

Il caso di Marina Abramović 

Marina Abramović, così come tutti gli artisti che si dedicano alla forma della performance, ne sono un esempio chiaro: perché si affrontano ore di fila per potersi sedere di fronte a lei? Perché affascina. Perché ha carisma. Perché il frutto di un’intera vita trascorsa in una ricerca artistica del tutto peculiare ha plasmato a tal punto l’artista da renderne percepibile la sua arte anche attraverso il non verbale. 

La creatività delle intelligenze artificiali 

Cosa importa dunque se un’intelligenza artificiale sa dipingere meglio di lei? Cosa conta se un software riesce a creare in un istante arrangiamenti che un cantautore, da solo, non riuscirebbe a costruire nemmeno negli anni? Cosa importa se un robot scrive un libro bellissimo? Sotto il versante artistico ed espressivo, nulla. Così come non conta nulla avere una parola di conforto dalla persona sbagliata. Il grande interesse che oggi si solleva sulle capacità espressive delle intelligenze artificiali ci ricorda, in modo lampante, che le arti sono uno strumento per migliorare la propria vita. Per sviluppare una visione personale sul mondo. Per trovare un’espressione che le parole non danno. Ci ricordano, ed è questo il punto fondamentale, che sono uno strumento attraverso il quale renderci più pieni, e che oltre ad essere “guardate” debbano anche essere “praticate”. Praticare un’arte, come dipingere, scattare fotografie, scolpire, scrivere o suonare, è un processo che arricchisce le nostre persone. Non si tratta di discipline che possono essere praticate esclusivamente da chi ha talento, così come lo sport non fa bene soltanto agli atleti. 

Usare l’IA per tornare all’arte 

Proprio grazie alle intelligenze artificiali possiamo oggi cercare di abbattere un muro culturale che è andato via via formandosi nel tempo, e che ha avuto come unico effetto quello di allontanare le persone dall’arte, e vedere praticare arte quasi soltanto da chi si sente artista. 
Si tratta, però, di un mero limite culturale, che non solo limita le persone nella gestione del proprio tempo libero, ma che ha degli effetti diretti anche sulla produzione culturale estesa. Per quanto la squadra di Bob giamaicana sia rimasta nella storia, le nazioni che hanno vinto più medaglie d’oro sono quelle in cui la disciplina è più diffusa. 

L’arte come esigenza umana 

Le nostre strade sono piene di persone che vanno in bici o fanno moto per il proprio gusto. Per il proprio gusto, i teatri sono pieni di compagnie amatoriali. Quando ci fu l’avvento dei blog, apparvero migliaia e migliaia di racconti interessanti. Tutti hanno esperienza di saggi di fine anno. Certo, un violino martoriato uccide tutti. Ma tutti, in qualche modo, comprendono che dietro quell’insopportabile stridio, c’è qualcosa di più. Poi ci sono i professionisti, e quei professionisti vanno giudicati secondo regole diverse, così come si giudica diversamente un atleta da una persona che corre al mattino per sentirsi meglio con il proprio corpo. Questa è la vera battaglia che dobbiamo combattere: ricordare alle persone che l’arte è un’esigenza. Che i simboli sono da sempre legati alla specie umana. Per quanto bene suoneranno i robot, difficilmente sentiranno il bisogno di farlo. 

Stefano Monti 

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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