L’italiano scritto nasce e si afferma preminentemente come lingua letteraria. La vittoria del volgare toscano sulle altre lingue neolatine, presenti nelle diverse aree della penisola (siciliano, veneto, romano…) è imputabile al prestigio delle “tre corone” toscane. Per secoli la lingua scritta è rimasta sostanzialmente immutata (noi riusciamo a leggere Dante o Boccaccio senza grande difficoltà, laddove francesi ed inglesi non riescono a leggere, senza il supporto di dizionari, le loro opere del Duecento-Trecento), l’assenza di un orale italiano diffuso e l’utilizzo preminentemente letterario della stessa ne hanno determinato la staticità.
Le nuove influenze sull’italiano orale
Negli ultimi decenni (dopo l’avvento della televisione) l’italiano orale è diventato, per la prima volta dopo secoli, la lingua della quotidianità e questo ha arricchito il nostro vocabolario, che sta assorbendo termini stranieri, soprattutto inglesi, in particolare laddove la cultura anglosassone è dominante (business, tecnologia, musica), termini provenienti dalle lingue dialettali, che per anni la scuola ha fatto percepire come inferiori, perché sprovviste di una tradizione letteraria, ma che adesso stanno entrando nel linguaggio comune grazie alla loro maggiore forza espressiva e termini gergali tipici della cultura giovanile. Insomma, parafrasando Pascoli, la “grande lingua si è mossa”, sta modificando il proprio vocabolario e si sta avvicinando ai a meccanismi tipici delle altre lingue neolatine e anglosassoni, diventando da lingua scritta anche lingua orale.
La demo-iconografia e la rivoluzione della scrittura
La lingua scritta reagisce con minore elasticità a questi cambiamenti, ma anche in questo caso è in atto un processo di mutamento. Parallelamente alla costituzione e diffusione di una comune oralità, abbiamo una vera e propria rivoluzione nel mondo delle immagini. L’uomo produce immagini dagli albori dei tempi e la stessa scrittura nasce come immagini che vengono poi stilizzate, ma solo nel Novecento diventa possibile produrre in maniera diffusa e massiva delle immagini e a partire dal 2007, con l’avvento dello smartphone, siamo entrati nell’era della demo-iconografia: una fase caratterizzata della produzione individuale, semplice e massiva di immagini. Dentro e dietro la semplice tecnologia dello smartphone c’è il codice software, il più potente costruttore di mondi che l’uomo abbia mai pensato e realizzato. La produzione grafica, sia nella versione iconica (immagini) sia nella versione verbale (scrittura), come spiega molto bene Carlo Sini ne Il sapere dei segni, ha lo stesso fondamento ed è sempre stata appannaggio di specialisti, stante la sua complessità tecnica che richiedeva un lungo periodo di training ed esercizio. La rivoluzione in corso determinerà importanti mutamenti non solo sulla produzione delle immagini ma anche delle forme della produzione letteraria e conseguentemente della scrittura.
Le funzioni del linguaggio secondo Jakobson
L’invenzione della scrittura a suo tempo ha comportato le fine dell’epica che era tipica della narrativa orale; oggi la possibilità di costruire mondi e narrazioni attraverso l’immagine potrebbe determinare un’atrofia delle forme sintattiche complesse, che già i parlanti tendono a non usare nel linguaggio orale quotidiano.
Secondo Jakobson il linguaggio svolge sei funzioni, quasi tutte necessitano di una sintassi molto semplice per essere elaborate e permettere la comunicazione ad eccezione della funzione poetica e di quella metalinguistica. La funzione emotiva (centrata sull’io emittente) è a deciso appannaggio dell’oralità, anche se caratterizza anche molta narrativa contemporanea che va per la maggiore, ed è, credo io, una delle ragioni della assoluta modestia della stessa. La funzione denotativa è decisamente dominante (dalla lista della spesa alle e-mail) e richiede una struttura sintattico-linguistica molto semplice, tralascio la funzione fatica e conativa per concentrarmi sulle due funzioni per cui la lingua scritta necessita di una struttura sintattica e lessicale complessa, quella poetica (artistica) e quella metalinguistica.
Le funzioni poetica e metalinguistica del linguaggio
La funzione metalinguistica generalmente utilizza un linguaggio specialistico e complesso, ma si rivolge ad una comunità ristretta. Ben più importante è la funzione poetico-artistica che proprio per la sua specificità di rappresentazione realistica (si pensi a tutto il grande romanzo ottocentesco), immaginaria (da Dante ad Ariosto), inconscia (da Joyce a Gadda), emotiva… si è dovuta dotare di un armamentario tecnico molto articolato, “del poeta il fin è la meraviglia” scriveva il Marino, che permettesse all’autore di rendere conto di questa polifonia. Fin qui nulla di strano. Il problema si pone quando la tecnologia, con l’avvento della fotografia prima, del cinema poi e dal 2007 con lo smartphone, permette una riproduzione mimetica del reale semplice e a portata di tutti, senza necessariamente sottostare a training lunghi e difficili e a regole che i parlanti tendono a non sentire più come stringenti.
Già Benjamin aveva messo in luce come la riproduzione tecnologica del reale avrebbe fatto sparire quella dimensione sacrale
dell’opera d’arte, non tanto perché avrebbe diminuito il suo valore, anzi semmai l’opera d’arte nell’epoca della sua riproduzione tecnica ha visto accrescere la sua dimensione esclusiva, ma perché perdeva il monopolio della tecnica a tal punto da ipotizzare “un posto autonomo tra i vari procedimenti artistici” per la (ri)produzione tecnica.
A questo punto la potenza dell’immagine risulta moltiplicata prima dalla sua riproducibilità tecnologica e poi dalla potenza di una tecnologia personalizzata.
La scrittura è destinata a scomparire?
In questo scenario, in cui la capacità mimetica delle immagini è esplosa finendo di colmare il divario tra “esperienza vissuta e esperienza (verbalmente) rappresentata”, come scrive Sini, abbiamo ancora bisogno della tecnologia della parola scritta per costruire mondi? Difficile fare previsioni ma ho la sensazione che questo compito sarà sempre più assorbito dalla produzione di immagini. Quello che è certo che la tecnologia retorico-sintattica della parola scritta non sarà più la sola deputata alla costruzione massiva di immagini, ma sarà affiancata e per qualità e quantità superata dalla iconografia digitale. Una lingua scritta che dovesse veder ridotta la sua funzione poetica a vantaggio della sola funzione denotativa finirà per assistere ad una inevitabile semplificazione delle proprie forme sintattiche, non percepite come più necessarie ai fini espressivi, a vantaggio delle forme più piane di tipo denotativo.
La globalizzazione e i nuovi media stanno arricchendo la nostra oralità, l’esatto contrario di quello che si ritiene: circola sulla rete una fake che attribuisce a Tullio De Mauro una fantomatica ricerca, di cui peraltro non vi è alcuna traccia scientifica, per cui i giovani oggi avrebbero un vocabolario più povero, misurato nel tempo; in realtà grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e ai social un ragazzo di oggi ha un vocabolario decisamente più ricco di un ragazzo di 50 anni fa.
Parallelamente lo strapotere delle immagini e la facilità di produzione delle stesse ridurranno di molto la funzione espressiva e rappresentativa della scrittura, assorbendole e conseguentemente appianando la complessità sintattica della lingua scritta a vantaggio di una lingua più denotativa. Forse solo oggi comprendiamo a pieno le considerazioni di Benjamin sull’impatto delle immagini riprodotte.
L’epopea della scrittura
La scrittura è un dono fornito alla umanità dal dio Thot e ha avuto sempre a che fare con la separatezza e il potere, degli scribi prima, dei chierici poi e per finire degli intellettuali. Una tecnica che nel tempo si è costantemente modificata adattandosi ai supporti: l’argilla, i papiri, la pergamena, la carta e oggi il digitale. Ognuno di questi ha provocato vere e proprie rivoluzioni nella forma. Ma è nell’ XII Secolo, nel convento di San Vittore alle porte di Parigi, che da palinsesto in supporto della oralità (immaginate uno spartito) prende vita autonoma e poi con la stampa stabilizza l’ortografia e acquisisce una forma definitiva, arrivata fino a noi.
Oggi la scrittura si trova alla vista di un altro cambiamento, la rivoluzione della “scrittura di massa”. Essendo una pratica innaturale (un bambino sa parlare benissimo senza necessariamente studiare, ma non sa scrivere se non viene istruito) è estremamente complessa e pertanto è stata una tecnica a disposizione di poche persone e non è disponibile in tutte le lingue. Il 9 gennaio 2007, era un martedì come un altro, tutti noi eravamo addetti a fare qualche cosa e da poco eravamo tornati in ufficio, quando Steve Jobs salì sul palco del MacWorld e presentò l’IPhone, una delle più importanti rivoluzioni tecnologiche della storia umana.
I mutamenti della lingua scritta
Niente sarà più come prima nella storia della comunicazione e delle relazioni tra le persone. Anche la scrittura è destinata a subire dei profondi cambiamenti, rimasta imbalsamata dall’avvento della stampa, riprenderà la sua corsa anarchica, che ha sempre caratterizzato la lingua. Ormai a disposizione di tutti, la scrittura per la prima volta nella storia umana sta diventando, grazie ai social, un fenomeno quotidiano di massa; questo le toglie l’aura di separazione che l’ha sempre contraddistinta. Non più strumento di una élite, la scrittura cessa di essere un codice separato per avvicinarsi all’oralità fino a diventarne una semplice trascrizione, come la utilizzano i giovani, senza scarti formali, anche se questo farà inorridire i puristi e gli amanti del bello stile. Tutto ciò comporterà dei profondi cambiamenti non solo nel vocabolario ma vieppiù nella sintassi, con una fusione tra linguaggio scritto e parlato, facendo nascere una “scrittura-orale”.
La scrittura colta sopravviverà?
Del resto, cosa è stato l’avvento del “volgare” rispetto al “latino canonico”, se non la convergenza tra lingua parlata e lingua scritta? Per tutto l’Alto Medioevo evo si parlava in un modo (latino volgare) e si scriveva in un altro (latino canonico). Questa separatezza è durata fino al Basso Medioevo, quando si è cominciato a scrivere in volgare; dal punto di vista di un intellettuale di allora la lingua scritta (il latino) ha subito un poderoso impoverimento fino poi a sparire, ed è quello che molti intellettuali di oggi denunciano per il nostro idioma.
Stiamo parlando di semplificazione e omogenizzazione, resterà lo spazio per una scrittura colta che sia una ibridazione dei codici e dei linguaggi? È possibile, e in un certo senso auspicabile, che le nuove forme di narrativa TV e social, che hanno sostituito il romanzo, possano portare alla creazione di una nuova sintassi frutto dalla combinazione dei due modi di rappresentare e comunicare, quello verbale e quello iconico, di cui i digital creator lasciano intravvedere i primi prototipi, con nuove forme di creatività, che sarà sicuramente molto più diffusa e pervasiva di ciò a cui siamo stati abituati. E la stessa AI aiuterà non poco nello sviluppo di trame e racconti, costruendo un humus, per chi saprà sfruttarlo.
Domenico Ioppolo
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati