AI e cultura visuale: nuove frontiere della percezione al festivalfilosofia di Modena

Come dialogano creatività e sviluppo tecnologico? Che relazione sussiste tra immagini, arte e cinema e intelligenza artificiale? E come interviene lo spettatore? Ne parla il 15 settembre Antonio Somaini, docente alla Sorbona di Parigi, al festivalfilosofia di Modena e in questo saggio su Artribune

Il titolo che ho scelto per il mio intervento nell’edizione 2024 del Festival di Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo si basa su un presupposto fondamentale degli studi sulla cultura visuale: l’idea che la percezione, in questo caso la percezione visiva, non è qualcosa che rimane statico e invariato nel tempo, ma al contrario qualcosa che si trasforma costantemente. La percezione, in altre parole, ha una storia, che risulta dall’incontro tra le facoltà percettive umane e tutti quei media e quei dispositivi tecnici che la condizionano, l’amplificano, la canalizzano, la riorganizzano. 

La storia della percezione visiva

L’idea di una storicità della percezione è al centro di quegli autori – artisti, registi, teorici, critici della cultura – che esattamente un secolo fa, nel corso degli Anni Venti e Trenta del Novecento, si interrogavano sulle implicazioni estetiche, epistemologiche e politiche della diffusione di “nuovi media” come la fotografia, il grammofono, il cinema, la radio. Pensiamo a figure come Béla Balázs (a cui dobbiamo uno dei primi usi del termine “cultura visuale”, nel suo libro L’uomo visibile del 1924), Walter Benjamin, Siegfried Kracauer, László Moholy-Nagy, tutti impegnati a comprendere in che modo i media sopra citati stavano ridefinendo le “frontiere della percezione”.
A un secolo esatto di distanza, il rapido sviluppo di algoritmi e modelli facenti parte del vasto campo di quella che viene chiamata “intelligenza artificiale” (un termine usato per la prima volta nel 1957, e il cui significato è cambiato più volte nel corso dei decenni successivi) sta provocando una trasformazione in qualche modo analoga: una trasformazione in cui la diffusione di nuovi media tecnici sta di nuovo ridisegnando le “frontiere della percezione”.
Se pensiamo in particolare alle tecnologie di IA che riguardano le immagini, due sono i fenomeni che meritano un massimo di attenzione. 
Da un lato, quei sistemi di machine vision che sono in grado di analizzare immagini digitali anche quando queste non sono visibili da uno sguardo umano. Grazie alla loro capacità di identificare, riconoscere e classificare automaticamente corpi, volti, oggetti e luoghi rappresentati all’interno di immagini, questi sistemi stanno rapidamente trasformando l’iconosfera contemporanea in un vasto campo di estrazione di dati, che vengono poi organizzati e compattati in vari modi per finalità diverse, in particolare commerciali e di sorveglianza. 

Intelligenza artificiale
Intelligenza artificiale

La vita culturale delle immagini e l’intelligenza artificiale

Dall’altro, quei modelli di intelligenza artificiale generativa che – a partire dalla metà degli anni 2010 ma con un’accelerazione significativa nel 2022 – permettono sia di produrre immagini fisse e in movimento a partire da promptstestuali, sia di generare testi a partire da immagini. Pensiamo a modelli di tipo text-to-image come Stable Diffusion (l’unico modello diffuso in open source), DALL-E (ora incluso nelle ultime versioni di ChatGPT), Midjourney, e, per quanto i modelli text-to-video, Gen-3 e Sora. 
In entrambi i casi, machine vision e modelli di IA generativa, quello a cui assistiamo è una profonda ridefinizione del modo in cui le immagini vengono prodotte, modificate, viste e descritte. Da un lato abbiamo l’irruzione nella cultura visuale contemporanea di uno “sguardo” algoritmico, non-umano, che introduce nuove forme di visione e ricolloca, decentrandolo, lo sguardo umano. Dall’altro, abbiamo una serie di tecnologie che intervengono a tutti gli stadi della vita culturale delle immagini: dal momento della loro genesi (anche nel caso di una genesi “fotografica”, vista la presenza massiccia di algoritmi di IA nelle camere degli smartphone più recenti) a quello della loro ricezione, passando per tutte le fasi della loro circolazione. 
L’impatto di tutte queste profonde trasformazioni si fa oggi sentire fortemente nei campi dell’arte contemporanea, della fotografia e del cinema. Il numero di artisti, fotografi e registi che decide di confrontarsi con le possibilità, i limiti e le molteplici questioni sollevate dalle tecnologie di IA attualmente disponibili è in continua crescita: pensiamo in particolare a figure come Hito Steyerl, Trevor Paglen, Grégory Chatonsky, Holly-Herndon e Mat Dryhurst, tutti autori non soltanto di opere ma anche di scritti teorici di grande importanza. Nei loro lavori troviamo posizioni e strategie molto diverse, in cui si intrecciano tentativi di esplorare le potenzialità creative offerte da algoritmi e modelli, e analisi volte piuttosto a sottolinearne le profonde implicazioni estetiche, etiche e politiche: estensione delle forme di sorveglianza e di invasione della privacy, uso non autorizzato di vaste quantità di immagini protette da copyright, tendenza alla riproduzione di stereotipi e clichés, canalizzazione dell’immaginario, inaccessibilità e opacità di algoritmi e modelli.

Artisti e intelligenza artificiale

Dal punto di vista degli studi sulle immagini e la cultura visuale, le trasformazioni in corso propongono una doppia sfida. 
Da un lato, bisogna ripensare concetti-chiave come “immagine”, “visione”, “riproduzione”, “realismo”, “stile”, “creatività” dal punto di vista di queste nuove tecnologie. Possiamo ancora chiamare “immagine” un file digitale che può essere “visto” da sistemi di machine vision senza mai diventare visibile per occhi umani? Quali sono le analogie e quali le differenze tra visione umana e visione algoritmica? Come spiegare l’aspetto altamente fotorealista di un’immagine generata da un modello d’IA? In che modo algoritmi e modelli d’IA generativa ridefiniscono le coordinate dell’idea stessa di creatività, l’incontro fra intenzioni soggettive e possibilità tecniche?
Dall’altro, diventa necessario comprendere la profonda portata culturale di entità che fino a poco tempo fa erano studiate unicamente nel campo della statistica e dell’informatica, e che oggi invece giocano un ruolo di primo piano nelle dinamiche di una cultura visuale sempre più infiltrata da modelli di IA: pensiamo a reti neurali come i Convolutional Neural Networks usati dai sistemi di machine vision, o ai Generative Adversarial Networks (GAN) e ai Diffusion Models che sono al centro da alcuni anni del rapido sviluppo dell’IA generativa. 
Nel giro di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione”. Questo passaggio-chiave del saggio sull’opera d’arte di Benjamin, un passaggio che riassume il nucleo della sua teoria dei media, è ancora oggi più vero che mai. Le forme e i modi della percezione continuano a trasformarsi, sotto la pressione di media che entrano in contatto con i nostri organi e le nostre facoltà percettive. Da qualche anno a questa parte, alla lunga lista di questi media si sono aggiunti algoritmi e modelli di intelligenza artificiale: ognuno con la sua struttura, la sua genesi, le sue possibilità, i suoi limiti. Tentare di comprenderne il funzionamento, per quanto possibile, è diventato oggi indispensabile, se non vogliamo perdere contatto con immagini e con forme di visione che sono sempre più “algoritmiche”. 

Antonio Somaini

Antonio Somaini
Frontiere della percezione 
Intelligenza artificiale e cultura visuale
Domenica 15 settembre 2024, 16:30
festivalfilosofia
Piazza Garibaldi, Sassuolo
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Antonio Somaini

Antonio Somaini

Antonio Somaini  è professore di Teoria del cinema, dei media e della cultura visiva presso l’Università Paris III - Sorbonne Nouvelle. È membro senior dell’Institut Universitaire de France (IUF). Ha insegnato in diverse università e centri di ricerca a Milano, Venezia,…

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