Ecco cos’è “Venice Immersive”, la sezione in realtà virtuale del Festival del Cinema di Venezia
È una rassegna nella rassegna quella che riunisce il meglio delle sperimentazioni in VR in Laguna, dal viaggio nella mente di chi soffre di disturbi dell’attenzione alla scoperta delle connessioni invisibili che legano il nostro mondo
Non è un segreto che la sezione del Venice Immersive– quel posto magico e unico del suo genere che ogni anno viene allestito sull’Isola del Lazzaretto per la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica – si rivolga a una nicchia di appassionati del genere, addetti ai lavori, o semplicemente curiosi che si approcciano per la prima volta al medium: seppur eterogeneo, l’audience è ben lontano dalla portata dell’appuntamento principale del festival. Tuttavia, negli anni, si sono susseguiti esperimenti interessanti, che hanno fatto delle modalità alternative di narrazione visiva (e del ruolo del corpo attivo all’interno della simulazione) il loro punto di forza. Questa edizione torna con qualche punta di diamante, e resta visitabile fino al 7 settembre 2024: un’opportunità imperdibile per fare esperienza del VR in un ambiente ampio e predisposto appositamente, dove poter navigare liberamente i mondi fittizi creati da sviluppatori e artisti.
Al Festival del Cinema di Venezia torna la sezione dedicata alla realtà virtuale
Dalla realtàvirtuale ci si aspetta un grado di mimesi del reale che sia in grado di trasportare l’osservatore in una dimensione altra, che tragga in inganno la percezione, facendoci per un attimo dimenticare del resto, come in un sogno. Per questo, forse, si può restare delusi dal livello di finzione, che spesso – per limitazioni tecniche o per scelta – non è soddisfacente. Ma il punto è che, come insegna qualsiasi mezzo narrativo tradizionale (dal libro, al teatro, al cinema), non è sempre la mimesi del reale da doversi ricercare nell’esperienza artistica. Piuttosto, quel che rende efficace l’opera – ci spiega Cecile Daemen, vincitrice della scorsa edizione e presidente della giuria di quest’anno – è la sua qualità “specchiante”: l’opera in VR funge così da specchio del reale (talvolta stringendovi direttamente, ad esempio con la fotogrammetria), ma poi se ne distacca, lasciando lo scettro della comprensione dell’immagine alla soggettività di chi prova l’esperienza: quel che osserviamo non è la realtà, ma il riflesso della nostra interiorità.
Le opere di Venice Immersive
Ed è per questo che le opere più efficaci di questa edizione si abbandonano all’astrattismo, come Earths to come di Rose Bond, un “concerto” per voci ispirato a una poesia di Emily Dickinson. Interessante il ruolo dell’embodiment (la capacità del VR di permettere all’osservatore di immedesimarsi in prima persona in un altro corpo) in Ceci est mon cœur di Stéphane Hueber-Blies, Nicolas Blies, il racconto intimo e “sensoriale” della riconciliazione di un bambino con il proprio corpo: in questo caso il VR si rivela un ottimo strumento per “affrontare argomenti importanti come il body shaming, l’abuso sessuale, il bullismo scolastico e la depressione”, come sottolinenano gli autori.
La mixed reality protagonista a Venezia
Aumenta, rispetto alle scorse edizioni, l’utilizzo della mixed reality (ovvero quella tecnologia che affianca il mondo fisico con quello virtuale). Tra queste, spicca Impulse: Playing with reality di Barry Gene Murphy e May Abdalla (con la voce narrante di Tilda Swinton), che permette allo spettatore di entrare in prima persona nella mente di chi soffre di ADHD (il disturbo da deficit di attenzione/iperattività): “I social media vorrebbero farci credere che stiamo facendo tutti un percorso di scoperta di sé. Tra le pile d’informazioni online”, spiegano gli autori, “una pila crescente è dedicata all’ADHD. Lavorando con psicologi e neuroscienziati abbiamo raccolto più di cento ore d’interviste con persone che si trovano nella fascia più grave dello spettro. Abbiamo cercato analogie poetiche da tradurre in un ricco racconto da vivere in prima persona”. Sempre in mixed reality, anche l’installazione Symbiosis/\Dysbiosis: Sentience di Tosca Terán, Brendan Lehman, Andrei Gravelle e Sven Steffens, ispirata alle teorie cyborg e post-umane di Donna Haraway. L’opera porta lo spettatore in un viaggio nelle viscere di una foresta secolare, alla scoperta dell’intricata rete di microscopici collegamenti che ci legano al mondo che ci circonda: quella del micelio. “Mi sono impegnata a creare un’esperienza che colmasse efficacemente il divario nella nostra percezione della separatezza tra noi e la natura. Questa installazione XR”, spiega Tosca Terán, “è un passo avanti verso il raggiungimento di quest’obiettivo attraverso la ricerca scientifica, il racconto di fantasia, l’elettroencefalografia e l’attività bioelettrica del micelio vivente”.
Laura Cocciolillo
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati