Utopie e distopie nella 30esima edizione del Festival di Computer Art di Maribor in Slovenia

Che impatto sta avendo l’avanzamento tecnologico sulla nostra società? E cosa può fare l’arte a riguardo? A queste domande provano a rispondere le artiste e gli artisti invitati alla nuova edizione del Festival sloveno di Computer Arts, MFRU

Technology will not save us”: con questo ammonimento stampato a caratteri cubitali, che incombe minacciosamente al centro di Piazza Glavni Trg, a Maribor, è ufficialmente partita la 30esima edizione del Festival di Computer Arts MFRU. Che sia allora questo il momento giusto, nella storia dell’uomo, per mettere veramente in discussione il nostro rapporto con le nuove tecnologie? 

La storia del Festival di Computer Arts di Maribor

Nata nel 1995 con l’intenzione pionieristica di presentare e divulgare la sperimentazione nel campo delle arti visive e dei nuovi media, la manifestazione culturale made in Slovenia è arrivata fino ai nostri giorni trasformandosi inevitabilmente nel corso degli anni.  Particolarmente attento all’analisi delle problematiche che caratterizzano momenti storici ben precisi, MFRU ha saputo nel tempo espandere il suo raggio d’azione per indagare in particolar modo questioni di matrice sociopolitica, economica, ed ecologica. Un’avventura lunga tre decenni che ancora continua a rivelare un approccio di tipo investigativo volto all’attivazione di coscienze collettive. 

Off the shelf: la trentesima edizione di MFRU

Inaugurato lo scorso 18 ottobre, e curato da Davide Bevilacqua e Lara Mejač, questo nuovo capitolo di MFRU si avvale di una location molto speciale per mostrare e condividere la ricerca di alcuni artisti decisamente lontani da pratiche convenzionali (come d’altronde suggerisce anche il nome dell’esposizione principale, MFRU30: Off the shelf. Post-Consumerist Imageries When the Business Left the Building). Aperta fino al 27 ottobre, la mostra (che di fatto rappresenta l’unica proposta sostanziosa di tutto l’evento) invade infatti i locali del Teresienhof / Velika Kavarna, edificio storico che nell’arco di un secolo abbondante ha cambiato numerose volte la propria identità. Dapprima caffè ristorante, poi casinò, e infine spazio collettivo dedicato al design e alle arti visive, lo stabile si presenta oggi come una struttura sfitta: emblema monumentale di un fallimento politico, imprenditoriale e, di riflesso, sociale.  

Alice Strete:Simon Browne workshop - Foto Valerija Intihar, Mitja Lorenčič
Alice Strete:Simon Browne workshop – Foto Valerija Intihar, Mitja Lorenčič

Gli artisti in mostra a MFRU

Che la tecnologia oggi agisca in maniera impercettibile è ormai un dato di fatto e questo, l’ingegnere e psicologo statunitense Donald A. Norman ce lo diceva già nel 1999 con il suo The invisible computer (tradotto nel 2005 in Italia, per Apogeo, con il sottotitolo La tecnologia migliore è quella che non si vede). A fronte di ciò, MFRU risponde invece concependo una rassegna tesa a mostrare la fisicità di questa tecnologia sempre più presente nel nostro quotidiano. E lo fa non solo attraverso una serie di opere dal sapore esplicitamente DIY ma anche proprio sfruttando la decadenza dello spazio allestitivo che – come avviene ad esempio nel cinema di Cronenberg – mette ancora più in risalto gli aspetti fragili ed effimeri insiti in quegli strumenti tecnologici che utilizziamo ogni giorno.

Le opere del Festival di Computer Arts di Maribor

A offrire soluzioni e scenari alternativi sono i collettivi Freštreš, Undoing.Studio, Xcessive Aesthetics, e gli artisti Rok Kranjc, Dasha Ilina, Pablo Somonte Ruano, Inari Wishiki, Alice Strete & Simon Browne. Fra i lavori più interessanti spiccano sicuramente il gioco di carte realizzato da Kranjc (attraverso il quale si è invitati a schierarsi dalla parte dell’utopia comunista o del realismo capitalista per contendersi le sorti dell’umanità), l’installazione multimediale di Ruano (che mira all’ideazione di uno spazio futuristico basato sulla mutualità) e gli ingegnosi rimedi faidate, progettati da Ilina, contro la sofferenza fisica causata dall’uso e dall’abuso di certi dispositivi. Meno convincenti invece l’ambiente vaporwave che Undoing.Studio ha dedicato alla jugonostalgia, e i filtri di bellezza realizzati da Xcessive Aesthetics.

Criticità della 30ma edizione di MFRU

Nonostante le buone intenzioni e la complessiva validità qualitativa di artisti e curatori, questa edizione di MFRU non manca di destare alcune perplessità. La prima riguarda la personalità stessa della manifestazione che, purtroppo, non coincide perfettamente con il concetto di festival. A differenza di un festival canonico, infatti, MFRU non ha previsto né eventi collaterali né più sedi espositive né un vero e proprio coinvolgimento della comunità locale. A confermare ciò è stata la partecipazione del pubblico che, fatta eccezione per il momento dell’opening, si è rivelata particolarmente scarsa destinando così anche i workshop ai soli addetti ai lavori. Come purtroppo spesso avviene in numerose occasioni legate al sistema dell’arte, la sensazione finale è quella di assistere a uno spettacolo che, seppur bello e stimolante, se la canta e se la suona da solo.
Nell’ottica di ampliare l’offerta per l’anno prossimo, sarebbe a questo punto necessario comprendere cosa non sia andato del tutto per il verso giusto: che si tratti della comunicazione? Dell’intrinseca cripticità della maggior parte delle opere esposte?O forse dalle scelte dall’alto di limitarne l’erogazione dei fondi privilegiando invece realtà territoriali più solide, come possono esserlo Lubiana o Nova Gorica?

Valerio Veneruso

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Valerio Veneruso

Valerio Veneruso

Esploratore visivo nato a Napoli nel 1984. Si occupa, sia come artista che come curatore indipendente, dell’impatto delle immagini nella società contemporanea e di tutto ciò che è legato alla sperimentazione audiovideo. Tra le mostre recenti: la personale RUBEDODOOM –…

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