Cos’è la sovranità digitale e cosa c’entra l’arte contemporanea?
Ogni tecnologia è una lama a doppio taglio, e se usata senza un’adeguata conoscenza può essere pericolosa. Ecco perché gli artisti digitali devono stare attenti a chi controlla gli algoritmi delle loro opere, prima di perderne il controllo
Le conferenze Cybersecurity Day e LeADS Final Conference (10-13 ottobre 2024, Pisa) hanno affrontato questioni che sembrano distanti dal mondo dell’arte, ma che lo influenzano in modo diretto e profondo. Il focus sulla sovranità digitale e la regolamentazione dei dati tocca il cuore della produzione artistica contemporanea, in particolare di quella che si affida alle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale e la blockchain. In questo scenario, gli artisti si trovano a confrontarsi non solo con la creazione, ma con l’interrogativo su chi, in realtà, controlli i loro strumenti creativi, quindi le loro opere.
Cybersecurity Day: sovranità digitale e arte
Nelle conferenze di Pisa, più volte è stata sollevata, per esempio, la questione della digital sovereignity, ovvero, della dipendenza dell’Europa dalle tecnologie esterne, in particolare quelle provenienti da Stati Uniti e Cina. Questo vale anche per il mondo dell’arte, dove piattaforme come Instagram e OpenSea dominano la scena dell’arte digitale. Artisti che si affacciano alla tecnologia per vendere o promuovere il loro lavoro si trovano spesso vincolati a piattaforme che non controllano, con regole e policy che possono cambiare da un giorno all’altro.
Un esempio emblematico è Refik Anadol, che utilizza grandi set di dati per creare visualizzazioni immersive e su larga scala. Sebbene il suo lavoro sia all’avanguardia, Anadol è fortemente dipendente da infrastrutture tecnologiche esterne, dai dati che elabora ai server su cui ospita le sue installazioni. Il rischio, evidenziato durante la conferenza, è che artisti come lui possano perdere il controllo sulle loro opere, con dati archiviati su piattaforme vulnerabili e soggette a normative e interessi di altri Paesi, o anche semplicemente all’evoluzione stessa degli algoritmi (basti vedere quante delle opere di media art ospitate tra i Chrome Experiments, in primis il bellissimo videoclip interattivo per We Used to Wait degli Arcade Fire, non funzionano più).
Regole, applicazioni, trasgressioni della tecnologia digitale
La LeADS Final Conference ha posto al centro del dibattito il tema della regolamentazione dei dati e della privacy, che sta diventando una questione critica anche nel mondo dell’arte. Il GDPR e l’AI Act sono stati progettati per proteggere la privacy e i dati personali, ma rischiano di restare carta straccia, se non abbiamo strumenti per applicarli. Facciamo un esempio: un artista come Mario Klingemann, pioniere dell’arte generativa e dell’uso delle Generative Adversarial Networks (GANs), crea immagini e opere d’arte che non esisterebbero senza algoritmi complessi. Tuttavia, come discusso durante la conferenza, questi strumenti sono spesso delle vere e proprie “scatole nere”: gli artisti non hanno sempre il controllo sui risultati finali, e c’è il rischio che gli algoritmi stessi diventino troppo opachi e complessi da gestire. Klingemann, con i suoi deepfakes artistici, è un esempio perfetto di questa tensione tra creatività e regolamentazione.
Chi è l’artista nell’era dell’arte digitale?
Per molti artisti digitali, la crescente dipendenza da piattaforme tecnologiche è fonte di ansia, non solo per motivi creativi ma anche legali. Sougwen Chung, che lavora sulla collaborazione uomo-macchina attraverso la pittura robotica, si trova a metà strada tra l’innovazione e la dipendenza tecnologica. Allo stesso modo, Robbie Barrat, che usa l’intelligenza artificiale per creare immagini surreali e ipnotiche, sta cercando di ridefinire i confini dell’arte generativa. Ma quali sono i rischi legali e creativi se gli algoritmi dietro queste creazioni non sono completamente compresi o se vengono regolamentati in modo eccessivo? Durante il Cybersecurity Day, si è discusso ampiamente su come normative mal calibrate possano finire per soffocare proprio quella libertà creativa che cercano di proteggere: la protezione del dato non deve in nessun modo sopprimere le spinte imprenditoriali o artistiche di chi si serve di quel dato. Eppure, questo solleva degli interrogativi sulla nozione stessa di autore; su un piano meno filosofico e più “commestibile”, ci interroga sulla nozione stessa di copyright.
Blockchain e NFT
Un altro tema chiave emerso durante il Cybersecurity Day è stato infatti la sicurezza delle opere digitali create e vendute come NFT (Non-Fungible Token). Artisti come Anna Ridler, che utilizzano l’intelligenza artificiale per visualizzare dati complessi, sono pionieri di questa tecnologia. Gli NFT promettono autenticità e tracciabilità, ma, come evidenziato durante le giornate pisane, esistono ancora dubbi sulla reale protezione legale di queste opere. Gli NFT sono davvero sicuri o stiamo semplicemente creando nuove vulnerabilità in un ecosistema digitale già fragile? La bolla speculativa intorno agli NFT è un altro problema che non può essere ignorato. Dopo un primo entusiasmo, il mercato degli NFT ha iniziato a mostrare segni di cedimento, sollevando dubbi sulla sostenibilità a lungo termine di queste tecnologie. Gli artisti sperano che gli NFT possano rappresentare una fonte di guadagno stabile, ma la realtà potrebbe essere molto più volatile e meno sicura di quanto si pensi.
Esempi di arte generativa e di collaborazione uomo-macchina
Tra gli artisti che meglio rappresentano le nuove tendenze, Memo Akten è un nome di spicco, con le sue installazioni interattive che esplorano il movimento e l’intelligenza artificiale. Strumenti come quelli utilizzati da Akten, o da Taryn Southern, che ha creato un album musicale generato interamente dall’IA, offrono una visione ottimistica del futuro creativo. Ma questi strumenti richiedono anche una riflessione seria su chi controlla davvero l’algoritmo e su come i dati personali e artistici vengono gestiti, oltreché sulla perdita di incarichi di lavoro, o meglio, sommando le singole perdite (seppur talvolta minime), di ore effettive di lavoro da parte dei creativi. Molti artisti, come Paola Antonelli, curatrice di progetti innovativi nel campo del design e della tecnologia, stanno esplorando nuovi modi per integrare la tecnologia nell’arte in modo più etico e trasparente. Ma le domande rimangono: come possono gli artisti garantire che le loro opere siano realmente protette? E quanto spazio rimane per la creatività in un mondo regolato da leggi sempre più stringenti?
La sovranità tecnologica e artistica
Le conferenze hanno evidenziato un punto cruciale: il futuro dell’arte digitale non è solo una questione di creatività illimitata, ma anche di regolamentazione, controllo e protezione. Gli artisti che si avventurano in questo mondo devono fare i conti con le normative sulla sicurezza dei dati e con piattaforme tecnologiche che spesso sfuggono al loro controllo.
In Europa, in particolare, stiamo faticosamente cercando una terza via tra il liberismo statunitense e lo statalismo cinese, con soluzioni all’avanguardia che spesso, però, rimangono sulla carta. L’AI Act è un bel documento da leggere, sin dal titolo, ma cosa vuol dire, nel concreto? Come verranno applicati i suoi principi? Se il nostro continente non troverà un modo per garantire una vera sovranità digitale, gli artisti rischiano di perdere il controllo non solo delle loro opere, ma anche del processo creativo stesso. Il potere decisionale potrebbe passare sempre più nelle mani delle piattaforme tecnologiche, lasciando i creativi in una posizione di vulnerabilità.
La tecnologia digitale è neutra?
Il futuro della creatività digitale dipenderà quindi dalla capacità di bilanciare innovazione e regolamentazione, senza sacrificare la libertà espressiva che rende l’arte una forza vitale e trasformativa. Quindici-vent’anni fa la scena dei software studies aveva evidenziato, in ambito accademico, quest’aspetto. Il tech-guru Lev Manovich, ormai più di dieci anni fa, si spinse ad affermare, provocatoriamente, che non esistono media digitali; esistono solo software, applicati a dati o contenuti digitali. Detto altrimenti: la forma della nostra arte deriva, in parte, dalle tecnologie, in particolare software, che utilizziamo. Queste tecnologie, cosa ovvia ma spesso dimenticata, non sono neutre, ma portatrici di una propria ideologia. Gli artisti virtuali (come, ad esempio, quelli esposti nel 2024 nella galleria di Amsterdam Dead End Gallery, pubblicizzata come la “prima galleria AI al mondo”) sono anch’essi generati da una precisa ideologia, anche quando apparentemente cercano di sovvertirla. L’arte digitale, quindi, è sempre, necessariamente, un’arte critica, oppure non è.
Raffaele Pavoni
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