AI e “rovine invertite” in mostra a Roma. L’intervista a Gabriele Gianni
Mediante l’Intelligenza Artificiale, l’artista e regista Gabriele Gianni modella e riattiva la statuaria antica del Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps a Roma. Ne parliamo con lui in questa intervista
Analisi, accelerazione, regressione, riconfigurazione. Precisione metodica di un differimento temporale. È attraverso le video-installazioni dell’artista e regista Gabriele Gianni (1978) che il Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, grazie al supporto della Fondazione Carla Fendi, apre le porte all’Intelligenza Artificiale con la mostra Variabile Altemps, a cura di Chiara Giobbe, Responsabile di Palazzo Altemps e di Ludovico Pratesi e Marco Bassan, co-fondatori di Spazio Taverna. Alcuni reperti archeologici, desunti dalle collezioni del Museo e dal suo database digitale, sono stati presi in esame per un’indagine artistica e scientifica insieme, restituendo su schermo quelle che – passando dalle vivide sperimentazioni di Robert Smithson – potremmo definire invertited ruins.
AI e statue antiche nella mostra “Variabile Altemps”
L’AI viene coinvolta in un processo che perturba la figura umana. Il corpo ieratico delle sculture selezionate, messo in movimento da una combinatoria imprevedibile, finisce per perdersi e ritrovarsi ed astrarsi, regredendo in un passato fantastico o procedendo verso orizzonti futuribili. Le installazioni, collocate entro alcuni suggestivi ambienti al piano nobile del Palazzo, sono accompagnate dai suoni rituali-arcaici del compositore Mario Salvucci. “L’AI in questo caso non ha la funzione di andare a creare un falso, ma di ricreare un’autenticità, secondo un linguaggio che guarda all’arte antica in modo diverso da quello che possiamo avere, ad esempio, noi archeologi. La bellezza di questo progetto risiede proprio nella scelta di una via inedita per far rivivere l’antichità” ha dichiarato Stéphane Verger, Direttore del MNR. “Magister di quest’operazione è Gabriele, mago dell’AI”, ha chiosato Pratesi “qui non abbiamo solo l’arte contemporanea, ma anche la scienza. Lo strumento che ha utilizzato l’artista verrà consegnato al Museo perché il progetto nasce dal dialogo tra lui e Chiara Giobbe”. Ma della mostra e delle fasi processuali che hanno portato alla genesi di questi video ci parla l’artista Gabriele Gianni in questa intervista esclusiva.
Intervista a Gabriele Gianni
Variabile Altemps è un progetto sulla “riattivazione di luoghi, monumenti e personaggi del passato attraverso l’arte contemporanea”. L’idea originaria della mostra risiede nel tuo video Artificial Creation, presentato al festival dei 2Mondi lo scorso anno. In che modo l’hai risemantizzata qui a Palazzo Altemps?
A Spoleto l’installazione era nata proprio con il senso di adattarsi al luogo rinascimentale che lo ospitava, il battistero della Madonna della Manna D’Oro. Portarlo qui e riadattarlo al Museo è stata un’operazione del tutto naturale. Artificial Creation si rigenera attraverso i modelli AI che ho addestrato sulla collezione di Palazzo Altemps e del Museo Nazionale Romano, in un’influenza reciproca tra video e luogo. Alcune delle opere ospitate nel Museo compaiono decostruendosi e ricostruendosi nel flusso del dialogo con l’AI, creando una relazione semantica ma anche spaziale; è molto interessante per me immaginare opere adattive che – attraverso l’AI – si fondano ai luoghi che le ospitano, riverberandone significati e forme.
Nei video presenti in mostra, l’AI propone diverse soluzioni della stessa scultura, fino a presentare alla fruizione la singolare proposta dei reperti con il viso coperto da una pellicola d’oro. Come ti è venuta quest’idea?
L’idea dell’oro cela un aneddoto singolare. Infatti ho pensato di intervenire con questa materia sulla statuaria come metafora del passaggio dell’intelligenza artificiale su di essa. Un AI che nello stesso tempo arricchisce, ma crea anche ferite; solo successivamente ho scoperto, grazie al Direttore Verger, che in una scultura di Dioniso della Collezione Altemps, erano davvero presenti alcuni pigmenti aurei. Osservando quella scultura notiamo che ha un volto rovinato, scurito, quasi nero. Sembra vi sia una bruciatura, invece il materiale che emerge dai secoli è, in effetti, oro. Quando Verger mi ha rivelato questo dettaglio, ho ragionato molto sulle tracce che ancora oggi persistono dall’antichità e che inconsciamente sono riemerse attraverso il calcolo generativo e le nostre scelte. Come se l’unico materiale che riuscisse a differenziarsi, oltre la pietra, fosse in antichità già presente per forme rituali.
Italo Svevo definì il rapporto tra filosofo e artista come un “matrimonio legale”, in cui anche se i coniugi “non s’intendono”, “producono dei bellissimi figli”. Qual è esattamente il metodo di lavoro che adoperi per realizzare questi video con l’AI? E come funziona il dialogo “filosofico” che hai instaurato con l’AI?
Siamo portati a pensare all’AI come a qualcosa di puramente scientifico, ma in questo caso serve (dunque anche filosoficamente) a ripensare l’antico. L’aspetto tecnologico è interessante, ma ciò che conta per me è vedere il risultato del connubio tra antico e contemporaneo.
Per quanto riguarda il mio metodo di lavoro si tratta di un processo a più fasi. Mi sono concentrato prima sulla realizzazione di strumenti tecnologici che potevano essere integrati all’interno del MNR, collaborando con l’archeologa Chiara Giobbe. Per me era cruciale attivare una relazione di scambio con lo spazio ospitante e restituire in questo caso tecnologia, per poter utilizzare i dati delle collezioni presi dal database MNR digitale. Con le immagini delle opere, ho addestrato dei modelli generativi: un modello ricostruisce le parti mancanti e un modello – addestrato sui frammenti del Museo – decostruisce, accelerando il passare del tempo sulla pietra. Alle centinaia di immagini delle opere ho poi applicato questi modelli generativi manualmente, intervenendo sui dettagli di una scultura, ricostruendola, degradandola o sottolineando il passaggio dell’AI attraverso il segno dell’oro su di essa, facendo svanire l’originale con le sue variabili.
Puoi farci un esempio?
Per Artificial Creation, la video installazione narrativa al termine della mostra, ho ricreato un dialogo filosofico di ispirazione platonica sulla relazione tra matematica e arte, attraverso lunghe sessioni di domande mirate all’AI. Le voci che si sentono sono artificiali, prodotte con un modello AI che permette a ogni generazione di avere sfumature emozionali diverse.
L’AI, l’umanità e la tecnologia nell’opera di Gabriele Gianni
L’uomo ha da sempre raffinato le proprie tecniche. Prima dell’AI c’erano altri modi per generare meraviglia. Nel Barocco c’era il gusto per la spirale, l’illusionismo prospettico. Penso al trompe l’oeil di Palazzo Spada o alla casina storta di Bomarzo. Inganni ottici che andavano nella direzione costruttiva. Nel tuo caso sembra che per mettere a punto quest’ottica di un attraversamento spazio-temporale, tu non costruisca, ma piuttosto scomponga. La tua è una pratica di costruzione o di decostruzione dell’immagine e più in generale della cultura?
Sono sempre stato affascinato dalla decostruzione. In Dyslexia avevo lavorato sulla decostruzione del linguaggio scritto. La scomposizione è qualcosa alla quale sono portato in modo naturale e che agisce fortemente sulla mia percezione del tempo. In Variabile Altemps, se da una parte decostruisco le opere scultoree, riportando la pietra verso le sue possibilità, dall’altra sentivo necessario creare anche strumenti tecnologici di ricostruzione e analisi da lasciare al Museo. La tecnologia stessa diviene un elemento della mia pratica da decostruire e ricostruire. L’intero processo è di oscillazione dell’immagine, della tecnica, del linguaggio e della cultura.
Parlando ancora del tuo Artificial Creation, ci si accorge di come non ci sia soltanto la proposta di alcune “variabili” dei reperti Altemps, ma anche un forte dinamismo dell’immagine con sequenze di rapidi fotogrammi o intervalli di forme che portano da una configurazione all’altra. Se penso a chi si è interrogato in merito al dinamismo mi vengono in mente Duchamp, Kupka, Balla, Boccioni… “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la velocità” scriveva Marinetti nel suo Manifesto del 1909. Secondo te c’è un filo che lega questo tuo nuovo modo di fare arte agli studi sul movimento del cubo-futurismo e dell’astrattismo?
Credo che una delle influenze maggiori che ho inconsciamente assorbito più che il Futurismo sia stato il lavoro di Sol LeWitt, sul quale ho potuto realizzare un documentario prodotto sempre da Carla Fendi Foundation. L’idea di serialità e indirettamente attraverso LeWitt anche il lavoro di Muybridge al quale lui si ispirava. La velocità alla quale si è di fronte in Artificial Creation e nelle altre opere della mostra, è una velocità subliminale che agisce su componenti emotive e inconsce. Spesso nelle mie opere utilizzo l’accelerazione e l’alternanza tra immagine e vuoto per raggiungere un climax. Questa oscillazione mette di fronte al diverso modo di scorrere del tempo tra uomo e macchina. Ci sono pochi attimi in cui riusciamo a cogliere l’immagine un originale o di una variabile nella sua interezza o staticità.
Etienne Jules Marey che a fine Ottocento – con i suoi esperimenti di cronofotografia su pellicola aprì la strada all’invenzione del cinematografo – afferma qualcosa che mi sembra molto affine alla tua pratica: “Mi servo di un dispositivo che fa emergere l’invisibile inscrivendo su un supporto ciò che sfugge alla percezione dell’occhio: il tempo giunge a esporre sé stesso nelle sue infinite possibilità”. Come ti approcci alla tematica temporale e alla possibile deriva di una sua manipolazione?
È una citazione molto affascinante, l’avvento della fotografia come tecnologia ha numerose similitudini con quello dell’AI, anche come impatto sul nostro immaginario. Il tempo è una tematica centrale della mia ricerca. L’AI è un acceleratore di conoscenza e apprendimento. Pur non essendo un programmatore, grazie a questa accelerazione ho potuto realizzare codici e strumenti che sono alla base della mostra. Come nella storia della civiltà umana la scrittura è nata quale nuova tecnologia, così l’AI si manifesta come un’altra nuova tecnologia, più fluida e adattiva, con la quale confrontarsi in dialettica. Quello che a me interessa concettualmente è porre la fruizione in una condizione atemporale legata alla dimensione del sacro, non a caso compaiono nella proiezione centrale figure mitologiche come Apollo, Dioniso o Demetra. Che, in modo inconscio e simbolico, ci proiettano altrove. Con Mario Salvucci, il sound designer e compositore abbiamo lavorato su frammenti di inni delfici cantati dalla soprano Giulia Ferraldeschi, decostruiti attraverso algoritmi generativi per rafforzare la dimensione rituale.
Gabriele Gianni e l’intelligenza artificiale
Ragionando sul titolo della mostra, Variabile Altemps, e sulla combinatoria di forme e sembianze delle sculture da te proposte, mi viene in mente una frase di Heisenberg (Premio Nobel per la Fisica nel 1927 per Il Principio di Indeterminazione): “Le leggi naturali non conducono a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere piuttosto è rimesso al gioco del caso”. Si può dire che questa affermazione sia connessa a filo doppio con il “gioco” dell’Intelligenza Artificiale?
Sì, l’affermazione di Heisenberg è connessa, anche se non siamo ancora nell’ambito dei computer quantistici che apriranno le porte a processi fuori dalla logica binaria. L’immensa quantità di dati ci pone sì di fronte a una casualità, ma, allo stesso tempo, davanti a una volontà di controllo di questo caos. Bisogna tener presente, osservando i miei lavori, che noi esseri umani abbiamo un certo modo di ragionare. Una maniera di pensare che non è quantitativa. Questa maniera quantitativa è invece propria dell’Intelligenza Artificiale, che offre per questo una combinatoria potenzialmente infinita di soluzioni, o appunto di variabili. La relazione tra noi e l’AI diventa complementare nella ricerca creativa di strategie per controllare questo flusso immenso di dati in entrata e uscita. Un flusso da modellare come materia viva.
In molti vedono l’AI come una minaccia: il futuro che con violenza fa ingresso nel presente erodendo il passato. Si ritiene che finché sia l’uomo a governarla come strumento e non il contrario, non ci sia pericolo. Tu che visione hai? Vantaggi, rischi e scenari futuri relativi all’uso dell’AI?
Sono d’accordo sul fatto che l’AI vada utilizzata come strumento al nostro servizio e non come sostituzione. Ma c’è un passaggio che si perde in questo discorso e che è necessario mettere in luce: l’AI è progettata sulle reti neurali, che si ispirano al funzionamento del cervello umano e indirettamente a quello della nostra psiche. Non possiamo non aspettarci che poi ci rispecchi, modificando in modo adattivo noi stessi e lei, così come la scrittura ha modificato per migliaia di anni le nostre strutture del linguaggio e della mente. Più la tecnologia si ispirerà al nostro corpo o a processi biologici – penso ad esempio agli algoritmi genetici – più questo riflettersi e confondersi sarà profondo.
Francesca de Paolis
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati