Videogames e spazio: ecco come è andata l’edizione 2024 del grande forum annuale sui videogiochi a Trieste
Il videogioco come racconto dello spazio e attraverso lo spazio. Ne parliamo a partire dall’evento annuale degli IVIPRO Days 2024 (Italian Videogame Program) che si è tenuto durante il Trieste Science+Fiction Festival a inizio novembre
Per il terzo anno durante il Trieste Science+Fiction Festival si sono tenuti anche gli IVIPRO Days, l’evento annuale dell’associazione IVIPRO (Italian Videogame Program) che si occupa di valorizzazione del patrimonio storico e culturale italiano attraverso il videogioco. In passato abbiamo parlato degli IVIPRO Days concentrandoci sui diversi temi che i videogiochi possono affrontare, dal passato alle odierne città, e su come il medium può trattare culture e territori, la realtà e il cambiamento climatico. Nel 2024 ci è sembrato centrale nel ciclo di conferenze un altro argomento: il videogioco come racconto dello spazio e attraverso lo spazio.
Matteo Lupetti
Il videogioco come narrazione spaziale
In Game Design as Narrative Architecture, il teorico dei media Henry Jenkins scrive che “chi crea giochi non si limita a raccontare storie ma crea mondi e dà forma a spazi”, sin da esperienze che stanno alla base del videogioco come il wargame, il gioco da tavolo e i giochi di ruolo nati da Dungeons & Dragons. L’arte di creare videogiochi è, secondo Jenkins, ”architettura narrativa”: creazione di spazi che raccontano storie in modo non dissimile a ciò che avviene nei parchi divertimenti. E, precedentemente, nel giardino all’inglese, l’English landscape garden. Quando Ovid Works ha adattato l’opera di Franz Kafka nel suo videogioco Metamorphosis, ha raccontato il direttore del gioco ZaQ Chojecki, ha dovuto trarre da racconti come La metamorfosi e Il castello uno “storyworld”, un mondo che rendesse la storia esplorabile attraverso il movimento in uno spazio.
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Esplorazione come comunicazione nel videogioco
Il mondo di un videogioco non deve limitarsi a dare informazioni a chi lo attraversa, ma deve essere un“playground”, uno spazio in cui appunto giocare, come ha raccontato Jon Ingold cofondatore di inkle, studio noto per videogiochi narrativi come 80 Days, Heaven’s Vault, Pendragon, Overboard!, A Highland Song e The Forever Labyrinth. Se un singolo romanzo rappresenta solo uno dei tanti possibili viaggi nel paesaggio interiore di chi lo ha scritto, i videogiochi dovrebbero creare paesaggi che permettono multiple e diverse esplorazioni, raccontando storie sempre diverse in base alle nostre scelte. E dovrebbero arrivare a darci l’impressione di una tale quantità di bivi, punti ciechi e deviazioni inaspettate da non permetterci di trattarli come meri oggetti da consumare, come spazi che sia possibile controllare perfettamente e ridurre a un insieme di funzioni pensate per la nostra soddisfazione.
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IVIPRO Days: raccontare i margini
Negli spazi dentro e fuori i videogiochi è possibile identificare luoghi marginali opposti a un centro a volte letterale (fisico, geografico) e a volte metaforico. Durante IVIPRO Days 2024 hanno parlato di questi margini poco o mal raccontati Mario Di Bernardo e Marco Spelgatti, parte dell’organizzazione del festival del gioco e del videogioco IN/VISIBIL3 – elaborazioni intersezionali per il mondo ludico, incentrato su inclusività, accessibilità e intersezionalità. I luoghi (e i personaggi che li abitano) alla periferia delle narrazioni principali. L’oriente raccontato ancora spesso dalla prospettiva occidentale (nell’orientalismo descritto da Edward W. Said), i sud globali e italiani visti ancora spesso solo dal punto di vista del nord. La provincia e la campagna opposte alla città e luoghi o di relax o di orrore. Le donne e le comunità LGBTQIA+ ancora marginalizzate nell’industria videoludica. Ma Di Bernardo e Spelgatti hanno anche rivendicato il margine come spazio da cui, tra le altre cose, vedere la complessità e la problematicità del centro.
Raccontare l’Italia attraverso il videogioco
Ivan De Gregori di Jyamma Games ha ripercorso lo sviluppo di Enotria: The Last Song, videogioco recentemente uscito e ambientato in un soleggiato mondo fantasy ispirato a geografie e tradizioni dell’Italia, alle sue maschere e alla commedia dell’arte. De Gregori ha supervisionato il design dei personaggi di Enotria, ed è su questo aspetto che si è concentrato l’incontro, ma è emerso un più ampio conflitto tra il comparto artistico e chi ha preso effettivamente le decisioni occupandosi della produzione (e quindi del finanziamento) e della promozione del gioco. Su questo, devo aggiungere che Jyamma Games ha avuto anche una relazione molto conflittuale con la stampa. La direzione artistica del gioco si è però trovata a cercare un equilibrio tra raccontare l’Italia anche nella sua complessità e nella sua varietà, nel suo sincretismo meticcio, e doverne dare una rappresentazione che fosse riconoscibile all’estero, nel grande mercato globale del videogioco dove l’idea di cosa sia l’Italia è spesso molto più vaga di quello che potremmo aspettarci.
E il videogioco non spaziale?
IVIPRO insiste su una stretta relazione tra cultura e territorio. Nella sua missione rientra proprio promuovere i rapporti tra studi di sviluppo e istituzioni, enti e organizzazioni per la valorizzazione del patrimonio locale attraverso il videogioco. Per esempio, mise in contatto la Fondazione Sardegna Film Commission con lo studio Santa Ragione che stava lavorando a Saturnalia, videogioco horror ambientato in Sardegna. Il patrimonio culturale è visto come qualcosa che esiste materialmente in uno spazio, ed è una visione che piace anche a musei e località turistiche, perché promuove la monetizzazione di luoghi e patrimoni. In questa visione va contestualizzata la centralità del videogioco come narrazione spaziale ma, come il patrimonio culturale può essere immateriale, il videogioco può non essere narrazione spaziale. Esistono anzi tradizioni, come quella del videogioco testuale a bivi, che si sono sviluppate a volte esplicitamente in opposizione al videogioco come “architettura narrativa” concentrandosi invece su dialoghi, flussi di pensiero e dimensioni interiori. Come nel caso del patrimonio immateriale questa tradizione videoludica ha però un problema: è poco adatta alla commercializzazione e avrebbe quindi bisogno di istituzioni interessate più alla promozione culturale che a quella turistica.
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