Le ibridazioni tra umano e tecnologia in una mostra a Verona
In un mondo modificato irreversibilmente dall’azione dell’uomo, la collaborazione con la tecnologia sembra essere l’unica possibilità per sopravvivere. Ma come? Le opere di Ivana Bašić, Lynn Hershman Leeson, Oliver Laric e Sahej Rahal, in mostra da Spazio Vitale a Verona, provano ad immaginarlo
Cos’è che ci definisce in quanto umani? E se fosse la forma e il funzionamento biologico del nostro corpo, un vessillo destinato a invecchiare e consumarsi, fatto di carne e ossa? Nonostante il progresso tecnologico avanzi con crescente accelerazione, il corpo, per l’uomo, resta un punto dolente, un costante promemoria della propria mortalità. Ed è così che l’essere umano ha individuato i propri limiti fisici e poi, con dedizione, li ha combattuti uno dopo l’altro: prima la fragilità di un corpo che si ammala, guarito da medicine e operazioni mediche sempre più all’avanguardia, poi l’insicurezza di un corpo che invecchia, colmata con interventi di chirurgia estetica sempre più invisibili, e da un’età media che continua ad aumentare.
La simbiosi dell’essere umano con la tecnologia
E poi, è ovvio, sono arrivate le ibridazioni: le protesi ipertecnologiche, i trapianti. In pratica, la fantascienza cyborg è oggi una realtà quotidiana. Il punto è che l’uomo si è spinto oltre i propri confini tanto da modificare la propria stessa identità. E che oggi il “simbionte umano-tecnologia”, in un ambiente reso ostile (a livello biologico, sociale e spirituale) dall’agency umana, è l’unica possibilità che abbiamo di sopravvivere.
La mostra sulle ibridazioni umano-tecnologia a Verona
Questo è il contesto per comprendere Bloodchild. Scenes from a Symbiosis, la terza mostra di Fondazione Spazio Vitale a Verona, curata da Domenico Quaranta. In esposizione troviamo le opere di quattro artisti – Ivana Bašić, Lynn Hershman Leeson, Oliver Laric e Sahej Rahal – che, seppur in modo differente, indagano tutti le modalità in cui l’uomo e la tecnologia interagiscono tra di loro, suggerendo che nella collaborazione tra le due entità (perché la tecnologia, in questo caso, diventa soggetto e non più oggetto) si trovi la soluzione al collasso dell’ecosistema (e forse alla fine del mondo e della specie umana?). L’umano che verrà, in conclusione, è “il frutto di un matrimonio difficile e tormentato”, spiega Domenico Quaranta. Nulla di nuovo; in fondo, l’essere umano, da quando in tempi preistorici ha trasformato un oggetto in uno strumento, si è sempre definito in base al suo rapporto con la tecnologia.
Da Lynn Herman Leeson a Oliver Laric: le opere in mostra
Il progetto espositivo si apre con il video di Lynn Hershman Leeson Logic Paralyzes the Heart (2022), presentato per la prima volta alla Biennale di Venezia. Qui Joan Chen interpreta una personificazione immaginaria del concetto stesso di cyborg che, ormai sessantenne e prossimo alla pensione, ripercorre la storia dell’AI, nata in primo luogo per sviluppare tecnologie di guerra e di sorveglianza. Il monologo (frutto della collaborazione tra Leeson e una ChatGPT3 allenata su testi tecno-utopisti) ha ovviamente una conclusione ottimistica, di collaborazione utopica tra umani e cyborg. L’installazione interattiva di Sahej Rahal, Druj, (2021), che cattura l’occhio sul fondo della sala, vede invece un programma di intelligenza artificiale “dare vita” a una creatura postumana che reagisce in tempo reale (mutando forma in risposta ai suoni) alla voce o ai rumori prodotti dallo spettatore. Un gigantesco led wall proietta invece Exoskeleton, il video in loop di Oliver Laric, che riprende il tema dell’ibridazione e della metamorfosi tra organico e inorganico con un ritmo meditativo e costante, quasi ipnotico, come una goccia che leviga la pietra.
Laura Cocciolillo
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