Prompt ma non solo engineer. Come le humanities serviranno alle intelligenze artificiali
Per far sì che l’intelligenza artificiale generativa sia davvero utile, sapere come funziona non basta. Bisogna saper comunicare, e per farlo al meglio è necessaria una formazione umanistica e specifica
Un buon sottotitolo a questo articolo potrebbe essere: come la lingua e il bagaglio lessicale, che con i social e le emoticon stiamo perdendo, torneranno necessari. Uno ancora migliore, seppur nella sua icasticità, è questo: linguisti, filosofi, glottologi, filologi, giuristi cercansi. Non so quanti di voi abbiano chiaro il concetto di prompting in tempi di intelligenza artificiale. Per quel che conta, pare sia il futuro. Dunque è salutare averci a che fare a meno che non si pensi di continuare a cavalcare nell’epoca dei droni.
Intelligenza artificiale e content creation
L’irruzione dell’intelligenza artificiale generativa nelle nostre vite sta cambiando le modalità con cui possiamo creare contenuti. Se dietro il processo vi è l’esigenza di figure con competenze tecnologiche e informatiche, dentro il processo torneranno utili le humanities. A questo enorme serbatoio di dati quale l’intelligenza artificiale è, che diventa “machine learning” nel momento in cui collega i dati e “deep learning” in quello in cui inaspettatamente elabora soluzioni creative (questa forse la parte più inquietante), dobbiamo dare da mangiare. Inutile e improvvida la scelta di chi pensi di affamarla. Ci sarà sempre qualcuno al posto vostro che magari fornirà informazioni fake non sempre facilmente riconoscibili come tali. Il prompting altro non è che la modalità di “suggerimento” che serve per orientare l’AI nella creazione di contenuti, l’operazione con cui si dà da mangiare all’AI che produrrà risultati efficaci e coerenti con le nostre aspettative a determinate condizioni.
Il prompt richiede precisione
In primis va definita la finalità della richiesta: cosa ti serve? È la redazione di un catalogo, di una lettera, di un programma di sala, un bilancio di missione? Così facciamo esempi culturali (!). È inoltre importante definire il contesto e fornire quanti più dettagli possibili: qui la ricchezza linguistica del nostro vocabolario sarà di grande aiuto, consegnando sfumature, chiose, digressioni… Si può essere precisi in merito alla struttura: paragrafi, formattazione, tabelle, eccetera. E al tone of voice: istituzionale, informale, didascalico… Alla fine possiamo anche chiedere di “mettersi nei nostri panni” o elaborare un gioco di ruoli. Della serie: se tu fossi la conservatrice del Museo Civico demoetnoantropologico della Paglia e dell’Intreccio di Signa in provincia di Firenze e avessi bisogno di redigere una lettera di call to action per raccogliere fondi anche con indicazione dei dati relativi ai visitatori e alla comunità, con la finalità di trovare nuovi donatori facendoli sentire protagonisti per il restauro della parte di rafia di un nucleo di leghorn della collezione dei primi del Novecento del museo e volessi utilizzare un tono istituzionale ma senza eccedere, come la scriveresti?
L’importanza delle humanities per i prompt
Allora capite che non è solo questione da engineer perché parole come “conservatrice”, “demoetnoantropologico”, “rafia” e “leghorn” necessitano di competenze specifiche o quanto meno una buona dose di maneggevolezza del lessico. Il risultato lo lascio scoprire a voi. Suggerisco infine di cominciare a provare il prompting ingaggiando le figure giuste a patto che i nuovi umanisti e linguisti siano pronti a cogliere questa sfida. A proposito, se volete scoprire cosa sia il leghorn, potete leggerlo nel sito del Museo della Paglia e dell’Intreccio Domenico Michelacci di Signa.
Irene Sanesi
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