Brain rot. Ovvero cervelli consumati ed estetiche della (de)concentrazione

Con “brain rot” si intende non solo l’atrofizzazione cerebrale dovuta all’eccessiva connessione online, ma anche tutta una serie di estetiche dell’Internet che incrociano il nonsense e l’iperstimolazione. Ce lo spiega l’autrice di “Memestetica” Valentina Tanni

La parola dell’anno per il 2024, secondo l’Oxford Dictionary, è “brain rot”, un termine emerso dall’internet slang che si usa per definire il processo di deterioramento delle capacità mentali che si può verificare in conseguenza di un consumo eccessivo di contenuti online, specialmente quelli di bassa qualità. Una specie di lobotomia via Internet, insomma, che possiamo auto-infliggerci a colpi di post, reel e TikTok. A questa parola, tuttavia, si associano anche oggetti linguistici, prodotti culturali e stili estetici ben precisi, come ad esempio le parole “rizz”, “gyatt”, “sigma” e “fanum tax” (se volete sapere cosa significano, chiedetelo al primo Gen Alpha che vi capita a tiro), oppure i video YouTube della serie Skibidi Toilet, oppure, ancora, i meme che deformano e detournano personaggi popolari come Spongebob, Shrek o Grimace.

Cos’è il brain rot?

Cos’è quindi il brain rot? Un allarmante fenomeno sociale, un irrilevante trend di passaggio oppure una vera e propria estetica? In un certo senso, tutte e tre le cose. Se è vero, infatti, che il consumo eccessivo di contenuti ha un dimostrato effetto negativo sul cervello umano, soprattutto in età infantile e adolescenziale, non dobbiamo tuttavia dimenticare che lo stesso allarme era stato suonato per i videogiochi, per la televisione, per la radio e i periodici. Si parla ad esempio di “brain-rot” in articoli pubblicati oltre 120 anni fa per criticare l’eccesso di circolazione della stampa periodica. Sul Brooklyn Eagle dell’8 ottobre 1899, il giornalista Julian Ralph scriveva che “milioni e milioni di ragazzi, ragazze, uomini e donne americani” sarebbero diventati “incapaci di imparare qualsiasi cosa, di conoscere bene qualsiasi cosa e di concentrare la propria mente su qualsiasi cosa”. Persino i romanzi, oggi celebrati come una delle più alte forme culturali, nell’Ottocento vennero accusati di rovinare la mente delle persone, soprattutto le più giovani. 

Brain rot
Brain rot

La consapevolezza del brain rot

Un aspetto interessante e inedito del brain rot, che lo distingue da fenomeni simili osservati in passato, risiede nella presenza di un certo grado di consapevolezza da parte di chi produce e consuma questi contenuti. Molti meme che appartengono a questo trend contengono infatti commenti espliciti sulla bassa qualità della grafica, sulla stupidità dei contenuti, sull’assoluto nonsense delle battute. Il brain rot, insomma, sa di essere brutto, senza senso e inutile, ma si crogiola in questo status: lo abbraccia, lo amplifica, lo rivendica. In questa ottica, e dal punto di vista delle estetiche che produce, il trend si può leggere come il proseguimento di una tradizione che su internet ha una lunga storia. Il gusto per il nonsenso, la ricerca del brutto, l’amore per la bassa risoluzione, l’approccio dadaista e situazionista al montaggio: si tratta di caratteristiche che si possono trovare nel mondo dei contenuti web da quasi due decenni. Pensiamo ai video “YouTube Poop”, apparsi alla metà degli anni Duemila, oppure a generi come il “21st Century Humor” e gli “Interdimensional Memes” (2019-20). Anche lo shitposting e i fried memes (“meme fritti”), nati una decina di anni fa, in un certo senso fanno parte della stessa famiglia: sono contenuti veloci, istintivi, riciclati, spesso a bassa risoluzione, ancora più spesso glitchati e deformati. 

Brain rot
Brain rot

Brain rot e iperstimolazione

Infine, esiste un genere di brain rot che riguarda la ricerca di stati di iperstimolazione: il cosiddetto “sludge content” (contenuti melma). Un esempio tipico sono i post di TikTok che contengono più video all’interno della stessa schermata. Lo spazio può essere diviso in due o più riquadri: uno dei video richiede una certa attenzione per essere compreso, mentre gli altri sono di contorno e possono essere gestiti con un livello di concentrazione più basso. Questi ultimi sono tipicamente dei video di genere “satisfying”, ossia ASMR visivo (oggetti tagliati o schiacciati, sostanze manipolate, persone che dipingono o costruiscono), spezzoni di serie animate come Family Guy oppure video gameplay di giochi endless run come Subway Surfers. Lo “sludge content” non trasmette messaggi e di fatto non è neanche propriamente un “contenuto”. Piuttosto si tratta di un puro segnale: una stimolazione mediale destinata ai sensi e al cervello. Il suo ruolo è quello di impegnare più spazio mentale possibile, nel tentativo di provocare uno stato di flusso. Tenendo occupate tutte le aree del cervello, infatti, è possibile raggiungere una specie di trance da concentrazione, che può donare una generale sensazione di benessere. Il prezzo da pagare, inutile dirlo, è un certo grado di disconnessione dalla realtà: ignoriamo il tempo che passa, le preoccupazioni e persino le esigenze fisiologiche. Sospesi in un limbo senza pensieri, alla ricerca di un’impossibile calma nell’occhio del ciclone.

Valentina Tanni

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Valentina Tanni

Valentina Tanni

Valentina Tanni è storica dell’arte, curatrice e docente; la sua ricerca è incentrata sul rapporto tra arte e tecnologia, con particolare attenzione alle culture del web. Insegna Digital Art al Politecnico di Milano e Culture Digitali alla Naba – Nuova…

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