Una mostra in Qatar prova a spiegare il rapporto tra giornalismo e intelligenza artificiale
In occasione della mostra "Ai or Nay?" al Media Majlis Museum, il direttore Alfredo Cramerotti ci racconta gli ultimi sviluppi in materia di creatività algoritmica e utilizzi della AI comunicazione

L’intelligenza artificiale è davvero in grado di pensare, creare, raccontare? O siamo noi a proiettare su di essa le nostre aspettative, attribuendole capacità che in realtà appartengono ancora – e forse sempre – all’ingegno umano? La mostra Ai or Nay? Artificial vs. Intelligent, ospitata dal Media Majlis Museum della Northwestern University in Qatar, affronta queste domande con un’esplorazione critica del rapporto tra AI, creatività e giornalismo. Curata da Jack Thomas Taylor, l’esposizione raccoglie oltre venti opere di artisti internazionali, dalle installazioni immersive ai lavori multimediali, per riflettere sulle opportunità e sulle sfide che l’AI pone alla produzione artistica e all’informazione. Alfredo Cramerotti, direttore del museo, vede questo spazio come un luogo di sperimentazione e dialogo, dove il pubblico è chiamato a interrogarsi sul proprio rapporto con la tecnologia. In questa intervista, approfondiamo con lui il ruolo degli algoritmi nella creazione estetica, il rischio di un “gusto algoritmico” e il paradosso ecologico dell’arte digitale.

Giornalismo e intelligenza artificiale secondo Alfredo Cramerotti
Tra i temi della mostra c’è il rapporto tra AI e giornalismo. Quali sono, secondo te, le principali opportunità e i rischi dell’uso dell’AI nella produzione di notizie e contenuti mediatici?
I rischi sono ovviamente legati alla disinformazione e alla mancanza di dati certi; per cui, giornalisti, ricercatori, redattori e produttori di contenuti devono rimanere vigili e affinare strumenti e processi di pensiero che permettano loro di bilanciare questi fenomeni.
E le opportunità, invece?
Le opportunità riguardano invece il fact-checking, sfruttando database e archivi storici vastissimi, prima impossibili da gestire per gli esseri umani, attraverso diversi media come testo, immagini e registrazioni audio. Inoltre, l’AI consente di individuare schemi e modelli sia nello spazio che nel tempo, offrendo così una visione più ampia di una situazione o di un problema/soluzione, aprendo la strada a nuove forme di giornalismo investigativo supportato dal machine learning, ma guidato dal pensiero umano.






La mostra in Qatar raccontata Alfredo Cramerotti
Ti va di approfondire le quattro sezioni tematiche della mostra: hindsight, insight, foresight, and oversight?
In parole semplici, le quattro aree affrontano il rapporto tra apprendimento umano e apprendimento automatico attraverso il tempo. Il passato (hindsight) esplora l’inizio di questa relazione e il modo in cui le macchine hanno aiutato e favorito la produzione della conoscenza umana. Il presente è diviso in due aspetti (insight e oversight): da un lato, ciò che sappiamo oggi sull’interazione tra uomo e AI nel bel mezzo della sua evoluzione; dall’altro, le lacune, gli elementi mancanti, i “known unknowns” di questa relazione. Infine, il futuro (foresight) riguarda le speculazioni su come questa interazione si evolverà e quali potrebbero essere i risultati concreti di queste visioni futuristiche.
Nella mostra, molte opere coinvolgono il pubblico in un’esperienza interattiva con l’AI. Pensi che questa interazione possa cambiare il modo in cui le persone percepiscono la creatività artificiale?
Sta già cambiando le nostre vite in molti modi: si pensi ai viaggi con Uber o ai percorsi suggeriti da Google Maps. O ancora agli acquisti consigliati da Amazon e anche solo al modo in cui veniamo scansionati alle casse automatiche o negli aeroporti. Perché la creatività dovrebbe essere immune a questa trasformazione? Artisti, curatori, produttori e pubblico stanno lentamente ma inesorabilmente modificando i loro parametri e i loro riferimenti. Non possiamo fare a meno di assorbirla, nel bene e nel male.
I rischi e le sfide dell’intelligenza artificiale nella comunicazione
Pensi che l’uso sempre più diffuso di algoritmi creativi stia portando a una sorta di “gusto algoritmico” che rischia di uniformare l’espressione artistica? O piuttosto può aprire a nuove possibilità?
No, non credo. Sarebbe come dire che la fotografia ha uniformato il gusto nella cultura visiva, o che la macchina da scrivere ha standardizzato la letteratura. L’AI e il machine learning sono strumenti: li useremo sempre di più, adattandoli e trasformando il nostro approccio a ciò che possono fare, comprese le nuove possibilità che, per ora, possiamo solo intuire.
In un’epoca dominata dal digitale, come possiamo preservare il ruolo della percezione tattile nell’arte?
Un modo potrebbe essere abbracciare l’intimità che molte tecnologie avanzate ci permettono di sperimentare: dispositivi indossabili come guanti e occhiali per esperienze VR/AR/XR, sensazioni corporee attivate da vibrazioni, odori e percezioni tattili. Oppure opere d’arte ibride che combinano abilità artigianali (ad esempio, la tessitura) con elementi tecnologici (come dispositivi sensibili alla luce o al suono che fanno “comportare” il tessuto in modo diverso). Le combinazioni sono infinite: sta agli artisti trovare nuove soluzioni e ai curatori immaginare come presentarle e mediarle per un pubblico più vasto.
L’uso di nuove tecnologie nell’arte ha un costo ambientale. Come possono i musei affrontare il paradosso tra innovazione tecnologica e sostenibilità ecologica?
È un paradosso che esiste da più di un secolo: come possono i musei bilanciare l’impatto ambientale della realizzazione di mostre? Lo stesso dilemma si applica all’arte prodotta, esposta e mediata attraverso tecnologie avanzate. E questo senza considerare il paradosso del mercato dell’arte: gallerie, fiere e collezionismo si basano proprio sulla mobilità degli oggetti. Non è un problema nuovo e non esiste una soluzione preconfezionata. La chiave sta nel ridurre al minimo l’impatto quando possibile e fare scelte con una visione d’insieme più ampia.
Guardando avanti, quali pensi saranno le sfide più grandi per l’arte e la curatela nell’era dell’intelligenza artificiale?
Sicuramente una delle sfide principali sarà lo sviluppo e il consolidamento di un sapere curatoriale adeguato. Al momento, esiste ancora un divario significativo tra la curatela dell’arte nei musei e nelle istituzioni culturali tradizionali e quella dell’arte digitale, come quella legata al web3 o alla blockchain. Molti curatori di arte digitale non hanno esperienza nella stesura di piani interpretativi per le mostre, nella gestione dei prestiti o nella mediazione con un pubblico non specializzato. Allo stesso tempo, altri non hanno familiarità con le tecnologie blockchain, le esperienze immersive o i formati di Mixed Reality. La vera sfida sarà colmare questa distanza, fondendo gradualmente questi due mondi ancora separati, sia in termini di ricerca curatoriale che di esperienza del pubblico. È quello che sto cercando di fare, per esempio, al mm:museum. L’auspicio è che i futuri curatori abbraccino entrambi i “sistemi” in modo naturale, senza nemmeno percepire la differenza tra i due.
Laura Cocciolillo
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