A più di quattro anni dall’ultima personale da Di Marino, e a poche settimane dal Berlusconi “imbarilato” alla fiera di Bologna, Jota Castro (Lima, 1965; vive a Bruxelles) torna a parlare del Vecchio Continente e della sua corsa esiziale verso l’autodistruzione.
La messa in scena corrosiva dei mali interni al sistema sociopolitico europeo del precedente episodio espositivo napoletano evolve in un “secondo movimento” che riprende e allarga i temi portanti, approfondendoli in un’orchestrazione storico-antropologica in cui l’ironia caustica si vena dell’amarezza nostalgica di un lutto preannunciato, mentre si intensificano la pregnanza concettuale, l’esatta corrispondenza metaforica tra messaggio e formalizzazione e la rara eleganza di un pensiero che fa dell’essenzialità operativa e della lucidità intellettiva i propri strumenti di sincerità morale.
Onestà che non permette alcuna via di fuga né concessione all’esigenza di “comfort” o edulcorazione intellettuale, come palesato da Euphorbia Milii, filo spinato che impedisce di appoggiarsi alle pareti per costringere a una costante situazione di attivazione e attenzione fisica e – metaforicamente – morale. Così come inequivocabili, incisi a caratteri cubitali su pietra, sono i punti di criticità per lo sviluppo occidentale in Panem et circenses: blocchi simili a carte di credito sostenuti da una barra analoga a quelle usate come unità di misura metrica. Il marmo di Carrara, lo stesso nobile materiale delle più alte manifestazioni artistiche e celebrative dell’Europa, ne sancisce ora l’irresponsabile comportamento di rimozione delle realtà scomode – in aperta contraddizione con le sue ambizioni razionalistiche – che incrementa indefinitamente un debito di situazioni irrisolte infinito e insolvibile, neanche più misurabile.
La medesima scansione ottica della modularità geometrica è in Ignobilis, lapidi tombali di paesi “nati male” strutturalmente e perciò mai vissuti davvero, anche se amati da Castro “come si ama una donna che ti rifiuta”, ricavate dal marmo del Portogallo come simbolo linguistico dell’attitudine colonialista dell’Europa, responsabile dei presupposti concreti del dramma. In realtà l’Europa sta, col suo immobilismo critico, erigendo la tomba a se stessa, come ammonisce NFFNSNC, pallet tragicamente defunzionalizzato e privato della sua vocazione mobile dal greve marmo dorato in cui la sua forma è travasata, lo stesso da cui sono costituiti i mausolei sepolcrali egiziani.
Senza neanche più il dinamismo – seppur ciecamente irresponsabile – che era evocato dallo scivolo per skateboard di Enjoy your travel nel 2006, rischiamo di divenire come l’immondizia musealizzata di Cornu Copiae o il pallone da calcio di Quasso Cruris, anti-monumenti in cui l’uso del marmo di Carrara ritorna per stigmatizzarne a contrario l’antieroismo: confessioni indifendibili dell’arrogante sfruttamento iniquo delle risorse e del vile occultamento nel populismo dei segnali d’allarme, grottesche caricature di una storia che di ponderoso conserva solo l’insostenibile peso.
Diana Gianquitto
dal 24 febbraio al 24 aprile 2011
Jota Castro – Memento Mori
Umberto Di Marino Arte Contemporanea
Via Alabardieri, 1 (zona Chiaja) – 80121 Napoli
Orario: da lunedì a sabato ore 15-20; la mattina su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +39 0810609318; fax +39 0812142623; [email protected]; www.galleriaumbertodimarino.com
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