Ecco perché Caravaggio piace a tutti
Caravaggio e l’irrisolta questione della (sua) tecnica. Quattro ipotesi per ricostruire le possibilità tecnologiche di un’epoca. Per uno sguardo differente sulla rivoluzione del “genio”. È quanto propone la mostra romana, visitabile fino al 29 maggio.
Una delle ragioni per le quali Caravaggio (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610) esercita una così grande attrazione sulle persone – secondo Rossella Vodret, ideatrice della mostra – è da ricercarsi nella capacità unica “di coinvolgere il ‘suo’ pubblico nella struttura compositiva dei suoi quadri”, suggerendo non solo la vicinanza dei personaggi e la presenza degli oggetti che sembrano fuoriuscire dalla tela, ma l’essere centro di un’azione che si svolge attorno a noi, un riversarsi dell’opera nel mondo e del mondo nell’opera.
Ed è proprio nella “struttura” che si cerca di entrare attraverso i materiali allestiti nelle Sale Quattrocentesche di Palazzo Venezia. La mostra, infatti, vuole intrecciare fonti e ipotesi per poi verificare, anche attraverso l’ausilio delle moderne tecnologie diagnostiche, il processo alla base dell’operare di un artista rivoluzionario.
Le quattro ipotesi proposte, naturalmente, non intendono spiegare definitivamente le modalità esecutive di Caravaggio, le quali continuano a essere un intricato oggetto della ricerca specialistica, ma costruire il probabile studio dell’artista negli anni romani, spostando l’attenzione dalla superficie dell’opera verso il mondo e la tecnologia del tempo. Una delle ipotesi prende in considerazione l’uso delle lenti, dei fori stenospeici e degli specchi per la riproduzione – secondo diverse messe a fuoco – della Canestra di frutta, strumenti che permettono la riproduzione perfetta dell’immagine reale sul piano della tela.
È a Giovan Battista Della Porta che si fa riferimento, al suo trattato dal titolo La magia naturale (1558, riedizione del 1584), nel quale si illustravano le possibilità della camera oscura, già oggetto dell’interesse di numerosi personaggi tra cui Leonardo, Aristotele e il matematico arabo Alhazan Ibn Al-Haitham. La novità del trattato di Della Porta consiste nel suggerire il metodo della camera oscura ai pittori poco abili interessati comunque a dilettarsi nella pittura dal vero.
Il San Girolamo scrivente è al centro di un’altra ipotesi di allestimento, nella quale lo spettatore può vedere, come probabilmente vedeva l’artista, il modello riflesso nello specchio e illuminato di lato da una fonte indirizzata, a sua volta, tramite uno specchio posto in alto su una delle pareti della stanza, quasi del tutto buia. Trattasi dello “specchio grande”, così nominato nel cosiddetto Inventario delle Robbe del 1605, che aveva la funzione di racchiudere l’immagine da riprodurre. A essere prese in considerazione in questo caso, come riferimento all’uso degli specchi e delle stanze buie, sono gli scritti di Giulio Mancini, Giovanni Baglione, Giovan Pietro Bellori e Joachim von Sandrart.
A completare l’esposizione, oltre al modello della Testa di Medusa e del Bacchino malato, una ricostruzione dello studio con la suppellettile dell’artista e un catalogo che, con fotografie non sempre di qualità ineccepibile, raccoglie fonti e documentazioni in un agile strumento di comprensione. L’intero progetto acquista ulteriori significati nella consapevolezza che, come scrive il curatore Claudio Falcucci, “questa mostra non ha assolutamente l’intento di escludere l’eventualità che Caravaggio non abbia neppure lontanamente preso in considerazione l’idea di avvalersi di questi espedienti”.
Daniele Fiacco
dal 22 dicembre 2010 al 29 maggio 2011
Caravaggio. La bottega del Genio
a cura di Claudio Falcucci
Palazzo Venezia – Sale del Quattrocento
Via del Plebiscito, 118 – 00186 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 10-19
Ingresso: intero € 6; ridotto € 4
Info: tel. +39 0688522480; www.munus.com
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