Quando i musei fanno (quasi) scouting
Portare un Matthew Day Jackson al museo d’arte contemporanea di Bologna. Dedicargli una grande personale, inaugurata nei giorni della fiera più importante d’Italia. Questo ha fatto il MAMbo e il suo direttore Gianfranco Maraniello. Questo dovrebbero fare, tra l’altro, i musei dedicati alla cultura contemporanea. C’è tempo fino al primo maggio per non perdersi una mostra importante.
Un corridoio “mistico”, soverchiato dallo spettro cromatico. Il punto di partenza è la foto del figlio neonato di Matthew Day Jackson (Panorama City, California, 1974; vive a New York), Everett Coleman Jackson (2009): un’opera di altissima ingegneria, il capolavoro dell’artista.
Camminando, si passa sotto The Tomb (2010), un sarcofago trasparente portato a spalla da otto imponenti astronauti in legno e plastica. Sei figure quasi lovecraftiane, una mitologia anni ‘60 in cui la corsa allo spazio si ammanta di sacro, accompagnano una delle forme-cifra di Jackson, legno-titanio-teschio-parti anatomiche. Il punto terminale è Me Dead at 35 (2009), autoritratto da morto dell’artista che fa da pendant chiudendo circolarmente il lavoro.
Matthew Day Jackson, uno degli artisti più interessanti della sua generazione (con impressionanti e stringenti punti di contatto tematico e stilistico con un regista pressoché coetaneo come Richard Kelly), lavora da sempre su questi argomenti, in definitiva gli unici su cui valga veramente la pena di lavorare: la vita, la morte, le civiltà e le culture umane, il senso ultimo della realtà e la nozione di “manufatto”. Su questo si concentra in maniera brillante ed efficace il complesso video che dà il titolo alla mostra.
Realizzato come un programma tipico da canale tematico, In Search of (2010) cattura lo spettatore fra misteriose civiltà scomparse, incroci tra archeologia e magia, mito e storia, scienza e psichedelia. Jackson usa consapevolmente un linguaggio immediato e accattivante (proprio perché mutuato dal dispositivo spettacolare: il riferimento diretto è qui la serie televisiva americana condotta da Leonard Nimoy tra il 1976 e il 1982), costruendo oggetti realmente concettuali: perché sono oggetti che ragionano, che ruotano davvero attorno a un pensiero, senza simularlo o mimarlo.
In cerca di punta programmaticamente i suoi obiettivi, con precisione e poesia allo stesso tempo: le nostre origini, i nostri desideri, i nostri limiti. Il nostro immaginario collettivo. Non sorprende perciò ritrovare nelle tradizionali scaffalature i manufatti presentati nel video didattico come frutto del popolo sconosciuto di Eidolon (Study Collection VI, 2010): Steven T. Frontiére è Matthew Day Jackson, e viceversa.
The Way We Were (2010) è un elegantissimo e rigoroso esercizio sull’illustrazione della storia umana (come vedere una versione epico-etnografica di Haim Steinbach), mentre con Chariot II (I Like America and America Likes Me, 2008-10) siamo di fronte un vero e serio capolavoro, che sintetizza magistralmente queste riflessioni in un distillato purissimo di “esoterismo pop”: la carcassa dell’auto distrutta dal pilota Skip Nichols diventa un reperto archeologico postmoderno alimentato da pannelli solari, il cui parabrezza è al tempo stesso un rosone medievale e uno schermo alieno (il riuso di Beuys è qui del tutto ironico).
Per quanto cerchiate di agganciare il mondo fantastico di MDJ, lui vi sorprenderà sempre, con una ulteriore simulazione della sua morte, o con una citazione monolitica dal fisico Oppenheimer, inventore della bomba atomica: I Have Become Death, Destroyer of Worlds.
Christian Caliandro
dal 27 gennaio al 1° maggio 2011
Matthew Day Jackson – In Search of…
a cura di Gianfranco Maraniello
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Via Don Minzoni, 14 – 40121 Bologna
Orario: martedì, mercoledì e venerdì ore 12-18; giovedì ore 12-22; sabato, domenica e festivi ore 12-20
Ingresso: intero € 6; ridotto € 4
Info: tel. +39 0516496611; [email protected]; www.mambo-bologna.org
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