Tre artisti sul lettino
Una mostra come una seduta di psicanalisi. Fra padri da uccidere (freudianamente, beninteso) e archetipi ricorrenti. Sulla carta un progetto ardito, nei fatti un discorso riuscito e convincente. Così vengono presentati Picasso, Miró e Dalí. In quel di Palazzo Strozzi a Firenze.
Invece di rassicurare lo spettatore con il dipanarsi dei fatti pittorici in ordine cronologico, la mostra di Palazzo Strozzi propone un percorso inverso: dal 1926 al 1900, concentrandosi in maniera esclusiva sulle opere dei tre pittori considerati (Picasso, Miró, Dalí), e su concetti e idee che vengono chiariti in un racconto-narrazione in flashback, e sul concetto di narrazione insistono anche molte delle iniziative collaterali.
In una stanza, un Apollo liceo del II secolo e una maschera tribale introducono da subito i concetti portanti di classicismo e primitivismo come chiavi interpretative alla nascita della modernità, mentre sullo sfondo una Spagna polverosa e un po’ immobile comincia a sussultare.
Cominciando dal più giovane Salvador Dalí, metamorfico e ribelle, che fonde Picasso, Freud e classicismo in Composizione neocubista: manca qualche anno all’incontro con i surrealisti, ma le ossessioni e le ambizioni smisurate di Dalí hanno già una forma. Nello stesso 1926 – le date sono importanti – produce il capolavoro Musique Seine Michel Bataille et Moi, una svolta, nel senso di una rifondazione completa della pittura, mentre Picasso non smette di cercare nuove strade, nonostante la fama già raggiunta.
A Picasso e Miró guarda, direttamente o idealmente, il giovane Dalí, ma a loro volta entrambi avevano già vissuto il momento delle scelte e della ricerca difficile d’uno stile. Basta andare indietro di qualche anno, al 1920, per scoprire che Dalí tra i sedici e i diciassette anni aveva già assimilato gli impressionisti e Cézanne, e che aveva sviluppato un forte e identitario attaccamento alla casa paterna di Figueres.
Un’altra casa paterna, che offre rifugio dalle sollecitazioni della vita parigina, è quella dei Mirò a Mont Roig, dova Joan Miró alterna dipinti minuti e calligrafici di sapore naïf (Fornace a Mont Roig) a opere rustiche e aggressive nell’uso del colore (Ritratto di Enric Cristòfol Ricart) per cui si parla di fauvismo catalano, mentre alla luce di quel che viene poi, per Miró si tratta semplicemente di passi obbligati verso una liberazione della forma.
Ma anche per Miró il nuovo aveva,significato l’incontro e il confronto con Picasso, a Barcellona coi Ballets Russes nel 1917, intento a ripensare il Cubismo e recuperare l’iconicità e il classicismo che segneranno la sua produzione nel terzo decennio.
Del resto, anche per Pablo Picasso la ricerca di uno stile era passata attraverso un padre ingombrante e l’eredità dell’Impressionismo, ma il documento impressionante del suo travaglio creativo è il Cahier n. 7. Figure femminili, pose classiche, statue primitive, geroglifici, fieste contribuiscono alla lenta elaborazione di una nuova arte che sappia comprendere tutti questi aspetti in maniera assolutamente inedita.
Il Cahier n. 7, coi suoi tratti energici, segna la maturità raggiunta dopo i primi successi importanti, i quadri di fiori venduti da Vollard e le grandi esposizioni, e dopo il dolore per la morte dell’amico Casagemas, preludio al periodo blu, ma soprattutto l’universo della bohème parigina sublimato a icona ne I due saltimbanchi, grazie a un costante riaffiorare della tradizione.
Così, se forse per una critica più moderna e aggiornata non c’è solo Picasso alle origini della modernità, c’è sicuramente anche Picasso alle origini di Miró e Dalí.
Silvia Bonacini
dal 2 marzo al 17 luglio 2011
Picasso, Miró, Dalí. Giovani e arrabbiati: la nascita della modernità
Palazzo Strozzi
Piazza Strozzi – 50123 Firenze
Orario: tutti i giorni ore 9-20; giovedì ore 9-23
Ingresso: intero € 10; ridotti € 8,50/8/4
Info: tel. +39 0552645155; www.palazzostrozzi.org
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