Un’aquila arpiona un bambino di bianco vestito, trascinandolo in cielo. Il becco è tagliente, le piume scure. Il piccolo piange come se fosse stato rapito dal suo lettino e sospinto verso un orizzonte ignoto. È questa l’immagine – still dal film Rescued from an eagle’s nest (1907) di Edwin Stanton Porter – che Chiara Guidi/Socìetas Raffaello Sanzio sceglie per presentare Puerilia, il festival di puericultura teatrale dedicato ai bambini dai 6 ai 10 anni, in corso fino all’8 maggio al Teatro Comandini di Cesena.
“È un simbolo”, spiega Chiara Guidi, “un’immagine che, nel suo essere terribile, vuole rilevare un approccio all’infanzia come problema artistico e non pedagogico”. Questo approccio all’età infantile permea tutta la costruzione di Puerilia, la cui programmazione è costruita ponendo spettacoli solitamente dedicati a un pubblico adulto dinanzi allo sguardo dei bambini.
“Escludendo ‘Bestione’, spettacolo che ho creato con Davide Savorani, e ‘Buchettino’, nostro celebre lavoro tratto dalla favola ‘Le Petit Poucet’ di Charles Perrault, i lavori presenti in Puerilia non sono dedicati esplicitamente a un pubblico infantile”, prosegue Chiara Guidi. “‘La Timidezza delle ossa’ della compagnia Pathosformel e S(wing) di Zapruder filmmakergroup si ritroveranno all’interno di una narrazione, da me costruita, che fungerà da porta d’accesso e di uscita dagli spettacoli”.
La fruizione dei lavori, infatti, è sempre accompagnata da esperimenti e attività pratiche che comprendono il supporto di un medico e un ornitologo per esplorare il mondo dell’anatomia umana, del suono e dei versi degli animali. “Il teatro per l’infanzia”, continua Chiara Guidi, “deve essere trattato come discorso artistico. Lavorare con i bambini significa parlare dell’origine dell’arte, trovare un’infanzia del teatro e non costruire un teatro infantile. I bambini diventano degli antichi maestri che, attraverso la loro capacità di fare le cose come se fosse sempre la prima volta, si situano in un’origine. In loro ogni fine porta sempre con sé l’originalità di un inizio. E poi, i bambini ripetono continuamente le loro azioni, i giochi; le favole, e questa attitudine riconduce alla condizione dell’artista che ripete ogni giorno la stessa azione senza ottenere qualcosa e senza fermarsi dinanzi all’opera terminata, cercando altro, in un’incompiutezza che è linfa del suo lavoro. Penso all’interpretazione di Orfeo di Maurice Blanchot, quindi a un Orfeo artista e a Euridice incarnazione dell’ispirazione, costretta a ritornare negli inferi per essere nuovamente cercata. Orfeo perde l’opera, ma mai la sua ispirazione. Questa è per me l’infanzia: ispirazione”.
In questa stessa ottica non pedagogica si sviluppa la conferenza L’evangelo del Silenzio, con la partecipazione della filosofa Marianne Dautrey e dello studioso Hervé Jaubert-Laurencin. L’incontro ruota intorno alla personalità dello psichiatra infantile, pedagogo e poeta Fernand Deligny e alla sua convivenza sui monti delle Cévannes con alcuni bambini autistici. “Deligny”, spiega Chiara Guidi, “non ha mai utilizzato un metodo esclusivamente pedagogico, piuttosto si è posto accanto ai bambini adottando il loro silenzio, assumendolo sul proprio corpo per analizzare la malattia dell’autismo”.
Usciti da logiche pedagogiche o adulto-centriche per cercare nell’infanzia l’origine dell’arte, non resta che trovare nell’arte un atto politico.
“Noi non siamo più bambini, possiamo solo rubare all’infanzia. Ecco cosa rappresenta quell’aquila nell’immagine del festival: da un lato il bambino è rubato al suo gioco dal teatro, dall’altro siamo noi adulti che rubiamo ai bambini la forza originaria del nostro fare artistico ma anche la speranza della vita proprio in un’epoca in cui tutti si lamentano. In questo momento è importante rivolgersi all’infanzia perché i bambini, anche all’apice del lutto e del dolore, quando hanno smesso di piangere, hanno la necessità di giocare. Per loro è sempre necessaria una narrazione che, pur passando dal buio, porti alla luce”.
Matteo Antonaci
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