Esplorando le radici con Matteo Fato
Fino al 2 giugno, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Urbino, Matteo Fato fa il punto, negli ambienti di casa Raffaello, sulla sua ricerca. E sul suo intrecciarsi con una città che è a un tempo culla del Rinascimento e luogo della sua formazione.
Matteo Fato (Pescara, 1979) consegna una sorta di autoritratto temporale che indaga i materiali, i percorsi e i loro intersecarsi con lo sviluppo della sua ricerca. La ricerca personale, infatti, diviene essa stessa motivo d’indagine. Non a caso, nucleo dell’intera mostra è Senza titolo con sciarpa, una delle ultime opere eseguite in Accademia. Posto, idealmente, sopraelevato e a conclusione del percorso espositivo, questo lavoro rappresenta un’interessante e precoce motivo d’indagine sulla rappresentazione: il simulacro si scompone continuamente. L’opera, infatti, è costruita prima di essere eseguita, tramite l’assemblaggio di un calco del volto dell’artista, un busto trovato e una sciarpa. Alcune opere recenti palesano un ritorno al colore a olio dopo anni di sperimentazione. Anche in questo caso, tuttavia, la riflessione sul linguaggio porta Fato a optare per un particolare gioco dialettico tra oggetti pittorici reali (assemblaggi di cose trovate e accumulate poste sopra piedistalli rivestiti di tela grezza preparata) e le loro trasposizioni pittoriche e grafiche. Il parallelismo con l’opera più antica è chiaro, in questo caso però l’oggetto d’affezione, forse più incontrato che trovato, dà il senso di un autoritratto più comunicativo che indicativo della persona fisica.
Altri lavori si presentano come montaggi delle stesse fasi lavorative (costruzione/progetto ed esecuzione): elementi vari, come una moretta – maschera veneziana che obbligava al silenzio –, cornici circolari e fili di ferro sono attraversati da nastri di neon azzurro, sorta di disegni spaziali utilizzati spesso dall’artista negli ultimi anni. In stretta connessione con queste opere si trova un’ulteriore ripresa dell’autoritratto, in questo caso più letterale e con il volto coperto dalla moretta. Molto ravvicinato al pannello, e in contatto stretto con esso, si osserva un lavoro che offre la ripresa a neon di due fermalibri forniti di barocchi batacchi (gli originali, in mostra, sono altri utensili incontrati e conservati nel tempo). Questi stringono, racchiudono e proteggono il libro, non leggibile, dei progetti della mostra.
Anche se alcuni disegni sono pubblicati in catalogo – diverso dalla mostra che, quindi, non sarà consultabile ma solo ricordabile – il lavoro segna uno sconfinamento nello spazio del silenzio e del non rivelabile. Per l’artista il non comunicabile è luogo insito nel fare arte: da una parte molti lavori in mostra non erano mai stati esposti, dall’altra si assiste a un gioco di continui e parziali rimandi tra i vari lavori che ne destrutturano sia le forme che i sensi.
Da notare inoltre che, per la prima volta, Fato espone diverse fotografie, da sempre fondamentali ma nascosti anelli progettuali e costruttivi della sua ricerca. Il rivelato convive con il non rivelabile e tra di essi si inserisce il super-rivelato, lo stereotipato, come la stella ducale che, di nobile e leonardesca origine, è uno dei simboli più famosi e abusati di Urbino.
Gianmaria de Lisio
Urbino // fino al 2 giugno 2011
Matteo Fato – (Osservando la parola)
a cura di Umberto Palestini
www.accademiaraffaello.it
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