CSI:Kabul
Alla Tate Modern, l’Afghanistan come scena del delitto negli scatti di Simon Norfolk e John Burke. Due fotografi inglesi che collaborano, diciamo così, a distanza di 140 anni. Una mostra atipica, fino al 10 luglio.
Simon Norfolk (Lagos, 1963; vive a Londra) è un grande fotografo, ma nonostante un eccezionale lavoro del 2002 intitolato Afghanistan: chronotopia, è poco noto in Italia. L’attenzione ora si incrementa grazie alla mostra allestita alla Tate Modern, intitolata Burke + Norfolk: Photographs From The War In Afghanistan, che prende le mosse da nuovi scatti in terra afgana.
Il Burke del titolo è John Burke, un fotografo inglese del XIX secolo. Dimenticato perfino in patria, Burke piace a Norfolk perché ritraeva gli afgani senza sottometterli a una gerarchia autoritaria di rapporti. Abbiamo parlato con Simon prima e dopo il suo ultimo viaggio e gli abbiamo chiesto come si possa fare una collaborazione con un fotografo non solo morto, ma anche dimenticato.
“Burke”, spiega Norfolk, “ha passato la vita a fotografare, ma non esiste nemmeno una sua immagine. Per ritrovare il suo Afghanistan, ho passato le notti su Google Earth. Volevo ripercorrere realmente la sua strada. Burke era andato nel 1878 in Afghanistan con l’esercito inglese, ma non aveva una vera commissione da parte loro. Irlandese e cattolico, stava sul gradino più basso del sistema di classi sociali dell’Impero. Questa condizione lo ha reso libero di scattare 400 foto incredibili: siti archeologici, gruppi di aristocratici locali, cibo cucinato per strada, schiavi, gente comune, tutti temi assenti dalla fotografia di quel tempo. Soprattutto, Burke ha ritratto gli afgani non come nemici sconfitti, ma con un tocco di umanità gentile e partecipata. Altri fotografi inglesi del periodo, come Benjamin Simpson, inscenavano nei loro scatti il dominio inglese. Burke no, e questa è la sua grandezza”.
Gli abbiamo allora domandato se lui si sente il Burke di oggi, con gli americani al posto degli inglesi: “Più che altro ho imparato da lui; ad esempio, a mettere al centro delle foto la gente che lavora. Burke fotografa le carovane. Io ho evitato foto ‘di guerra’, e ho scelto di mostrare i camion, i cuochi, le caserme. Ogni 50 soldati che combattono, ce ne sono mille che fanno altre cose. In questo modo ho scoperto Camp Leatherneck, un campo militare sterminato, nel sud del Paese. Due anni fa era deserto, e ora ci sono 30mila persone”.
E Kabul?, gli domandiamo. “È un mondo a parte. Con 400 miliardi di dollari iniettati dagli americani, l’economia della capitale è diventata doppia e artificiale. Una parte di quel denaro va in infrastrutture. Ma c’è molta gente che ruba da quei fondi per costruire fortune private e palazzi in stile Bollywood”. Una situazione che non stentiamo a credere. Prosegue il fotografo inglese: “Quello che non viene costruito sono fabbriche, attività produttive. Io mi sento un archeologo, non un fotografo. Gli americani se ne andranno, e l’Afghanistan sarà davvero un sito archeologico. Quando i romani se ne sono andati dall’Inghilterra, la gente accendeva i falò sui mosaici, non sapevano cos’altro farci. È così che sarà l’Afghanistan fra dieci anni. A volte, invece, mi sembra di essere un medico legale che indaga sulla scena del crimine. E in effetti, l’Afghanistan è la scena di un crimine”.
Luca Melchionna
Londra // fino al 10 luglio 2011
Burke + Norfolk: Photographs From The War In Afghanistan
www.tate.org.uk
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