Focus milanese sul Padiglione Iraq

Un tavolo da ping pong, due avversari che si contendono il match e una donna silente che infrange con la sua presenza la consuetudine. Una strana partita, quella messa in scena da Adel Abidin. Da Artopia di Milano, fino al 2 luglio.

Negli spazi di Artopia si gioca la partita di ping pong più dolorosa della storia. L’artista, di fama internazionale, è Adel Abidin (Baghdad, 1973; vive a Helsinki), alla sua prima personale italiana.
Quest’anno, con il ritorno dell’Iraq tra i Padiglioni nazionali alla Biennale, proprio Abidin rappresenta il suo Paese d’origine e, come ha sempre fatto, i richiami indiretti alla politica attuale non mancano. Senza rendere la sua ricerca uno strumento di propaganda, l’artista mantiene uno sguardo esterno e neutro, manifestando il suo dissenso nei confronti dell’oppressione dei potenti nei confronti dei popoli in modo satirico, talvolta ironico, altre volte violento, come nel caso del lavoro presentato da Artopia.
Il giorno del vernissage, lo spazio espositivo è completamente buio; tutta l’attenzione è focalizzata sul video Ping Pong. Una donna, con il suo corpo morbidamente abbandonato sul tavolo da gioco, sostituisce la rete, incassando i colpi della pallina, che diventa un’arma sotto la pressione dei tiri dei giocatori. Quello che colpisce è il pathos generale della situazione. I giocatori sudati e concentrati, l’arbitro impassibile, una situazione perfettamente normale, in cui però viene inserito un elemento completamente estraneo. La pelle chiarissima della donna si riempie di lividi, rassegnata riceve i colpi, il suo corpo è completamente passivo al dolore.

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Adel Abidin - Ping pong - 2011 - courtesy Artopia, Milano

L’opera è leggibile a più livelli: se l’approccio iniziale rimanda immediatamente alla passività del debole, oppresso e dimenticato da poteri avidi in continuo conflitto, una riflessione contemplativa può aprire svariate strade interpretative. L’artista pone a un livello paritario i due contendenti; non c’è il bene e il male nel suo lavoro, ma uno scorrere ripetitivo e senza fine di azioni che sembrano connaturate nell’uomo (il gioco, la sfida, il contendersi un premio). Chi è coinvolto in questo gioco è totalmente proiettato in esso, tanto da non accorgersi del resto. L’unica figura realmente consapevole di questo è la donna che subisce, lasciandoli giocare, estranea e indifferente all’esito della partita.
Il video richiama i numerosi lavori di Abidin sul tema dell’emarginazione, ma allo stesso tempo riflette sull’impossibilità umana di percepire lucidamente se stessi e le proprie azioni, di uscire da predisposizioni istintuali o ruoli sociali.

Nila Shabnam Bonetti

A colloquio con l’artista

Il ping pong di Surasi all’Hangar Bicocca

Milano // fino al 2 luglio 2011
Adel Abidin – Ping Pongwww.artopiagallery.it

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