India mon amour

Artisti indiani e francesi a confronto, in una mostra che si propone di raccontare e interpretare l’India contemporanea. Chi ci riesce meglio? La risposta è scontata, ma non troppo. Tra suggestioni esotiche, ironia e una buona dose di stereotipi. Al Centre Pompidou, fino al 5 settembre.

Il Centre Pompidou pone una domanda decisa, per non dire decisiva: cosa dire dell’India oggi? Sono chiamati a rispondere soltanto artisti francesi e indiani, con opere per la maggior parte create ad hoc per l’esposizione Images de l’Inde: Paris-Delhi-Bombay...
Il senso di tale scelta francamente un po’ ci sfugge. Cosa avranno mai da dire i francesi sull’India più di quanto possano dirne gli italiani o gli islandesi? Soprattutto, cosa significa chiedere a degli artisti di riflettere sulla situazione contemporanea di una società? Qual è la portata euristica di una domanda così esplicita e direzionata? Gli effetti sono sotto gli occhi dei visitatori del Pompidou, e basta poco per accorgersi della netta differenza nei modi in cui la domanda viene interpretata.

Divisa in macro-settori tematici, dalla politica all’urbanistica, dalla religione alla sempiterna problematica dell’identità, la mostra trova il suo cuore in un incipit violentemente didattico, da cui è impossibile svignarsela. Wikipedia non avrebbe potuto fare di meglio. Una maestosa opera di Ravinder Reddy, Tara, sapiente commistione tra la cultura cromatica indiana e i toni accessi dell’estetica pop, direziona con i suoi occhioni i vari settori del percorso.
E sono degne di nota molte opere degli artisti indiani presenti: da Subodh Gupta, con la sua caverna magica trasformata in bazar indiano colmo di pentolame (Ali Baba) alle opere di Sunil Gupta, che combatte per la difesa dei diritti degli omosessuali in India (Sun City). Hema Upadhay costruisce una bidonville con materiali di recupero (Think Left, Think Right, Think Low, Think Tight), Sonia Khurana reinterpreta i soprusi legati agli stereotipi sessuali (Lone Women Don’t Lie), Sunil Gawde compone delicatissime ghirlande di lamette vermiglie per denunciare la violenza della politica, l’assassinio del primo ministro indiano Rajiv Gandhi avvenuto nel 1991 (Virtually Untouchable – III).

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Sunil Gawde - Virtually Untouchable III - 2007

A lasciar perplessi sono invece le opere degli artisti francesi, più per eccesso che per mancata competenza. Si sente che il tema l’hanno studiato, loro, ma a memoria, restando esterni alle vicende. Come in quelle gite che dei Paesi esotici ti portano a scoprire il mercatino più turistico delle città, qui sembra di entrare nella giostra dedicata all’India di un ipotetico EuroDisney dell’arte.
Così, per Pierre et Gilles l’immagine dell’India è un’accozzaglia di icone religiose, cristiane e indiane (La Sainte Famille), mentre Jean-Michel Othoniel crea un’opera acustica che riproduce vitree composizioni musicali, retaggio di una sua passata residenza in un villaggio di vetrai indiani (Sans titre). Gilles Barbier è l’autore di una complicatissima opera che dovrebbe rappresentare la “sospensione” della scelta (The Game of Life).

A parte alcune felici eccezioni, tra cui campeggia l’opera di Philippe Ramette, L’Installation (Place publique d’intérieur), i francesi non fanno che riproporre stereotipi della tradizione indiana che cozzano con l’incessante avanzare della contemporaneità e dell’occidentalizzazione. Le problematiche da loro proposte non smettono di rifarsi ai concetti di rappresentazione e identità, tematiche tanto care all’arte occidentale.
Lontani dalle elucubrazioni tipicamente concettuali dell’Occidente, gli artisti indiani si gettano invece a picco sulle emergenze della propria economia, seconda nel mondo per rapidità di sviluppo, ma che deve ancora fare i conti con l’analfabetismo e la povertà. Le loro opere ci permettono di apprezzare un dominio vivo di cultura, piuttosto che quello defunto e fin troppo sedimentato dei cultori dell’alterità.

Greta Travagliati

Parigi // fino al 5 settembre 2011
Images de l’Inde: Paris-Delhi-Bombay…
a cura di Sophie Duplaix et Fabrice Bousteau
www.centrepompidou.fr

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Greta Travagliati

Greta Travagliati

Greta studia semiotica a Bologna e si laurea con una tesi sul concetto di rappresentazione nell'arte contemporanea. Appassionata di Maigret, scappa a Parigi dove inizia a lavorare nel campo della comunicazione e delle ricerche di mercato. Non sa scrivere autobiografie.

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