Se ne parla come di un artista-scienziato. Ma è necessario separare aneddoto e opera, riferimento d’origine e significato risultante. Nelle opere di Carsten Höller (Bruxelles, 1961; vive a Stoccolma) la scienza è oggetto di una sublimazione ironica e paradossale, nelle quale risiede il nucleo della sua arte.
Le meditazioni sulla vita animale e vegetale nascondono il vero tono della mostra da De Carlo: una gigantesca copula mancata, il tentativo d’incastro di due poli che non combaciano e non possono fondersi. Il polo maschile è la scienza, quello femminile l’arte, e i tentativi di fecondazione reciproca si concludono a un passo dalla riuscita.
L’intera mostra è un corpo da penetrare passandoci attraverso, un po’ lascivo e festante, un po’ sdegnoso e sterile. Il concettualismo e la spettacolarità si compensano, smentiscono e amplificano a vicenda. Come per disorientare il giudizio del visitatore soggetto ai luoghi comuni: “Bella, ma è un grande luna park”. Niente di meno vero, se un senso di vuoto avvolge anche davanti alle installazioni più spettacolari, rese tali soprattutto dalla presenza di animali vivi.
Una gigantesca bilancia ha come piatti due gabbie per uccelli; due topi da laboratorio sono liberi di mostrarsi o di rimanere nascosti nelle parti coperte della teca che li accoglie: nel secondo caso, la spettacolarità rimane virtuale e il punto è l’evocazione dello stupore, più che il suo verificarsi.
La penetrazione è anche letterale nel grande acquario nelle cui rientranze si può inserire la testa, bramando per una fusione con la natura che rimane nella dimensione del dispositivo e della cautela. Ma il vero simbolo della feconda infertilità perseguita da Höller è la teca piena di calchi di funghi. Gli esemplari sono tagliati a metà e fatti velleitariamente combaciare con altre metà, di specie diversa. Mutilate, sghembe, tali ricomposizioni sono il segno di un’asimmetria che sembra collaterale ma è costitutiva: la ricerca svogliata di un equilibrio, una meditazione senza oggetto che non è davvero interessata a una conclusione.
È questa la vera mossa concettuale di Höller. Un primo spunto per il superamento dei dibattiti che invischiano l’arte contemporanea, ormai entrata nella sua fase tarda, post-postmoderna si potrebbe dire. Uno stratagemma per privare di senso cavalli di battaglia degeneri del discorso pubblico, come ‘furbata’, ‘ostico’ oppure ‘provocazione’. Tutto e il contrario di tutto è l’arte di Höller. E niente di definibile in modo così intellettualmente meschino.
Stefano Castelli
Milano // fino all’8 luglio 2011
Carsten Höller – Animal works
www.massimodecarlo.it
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati