Stupri, aborti e successo. Tutta Tracey Emin a Londra
Una grande retrospettiva londinese alla Hayward Gallery, che coglie i punti di debolezza dell’opera di Tracey Emin e li ribalta, facendoli diventare punti di forza. Ed è la vista stessa che va in mostra. Non è un luogo comune, è la “poetica” dell’inglese. Che tanto ricorda in ciò Frida Khalo.
Dal sobborgo londinese di Croydon, dov’è nata, a Margate, sulla costa del Kent, nel Sud dell’Inghilterra, dov’è cresciuta; e ancora lo stupro, l’aborto, il successo, l’alcolismo, il suo gatto, l’incapacità di trovare l’amore o di avere un figlio: non passa giorno senza che i media riportino un brano più o meno scandaloso della sua vita. Una vita così costantemente sotto i riflettori che, più che con l’artista nominata per il Turner Prize, sembra di avere a che fare con un personaggio del Truman Show. E allora che cosa ci racconta di nuovo, di lei, la retrospettiva alla Hayward Gallery?
Tenera, aggressiva, affettuosa, arrogante, provocante: Tracey Emin (Londra, 1963) non tenta mai di sembrare diversa da se stessa. E non vuole. Credendo fermamente che avere segreti sia una cosa pericolosa, l’artista apre al mondo il vaso di Pandora delle sue emozioni. E la sua onestà è disarmante: ciò che può sembrare esibizionismo gratuito non è altro che il tentativo di comprendere e scendere a patti con i traumatici eventi che hanno segnato la sua vita. E il trauma è ovunque, nell’arte della Emin: nelle coloratissime trapunte che punteggiano le pareti della Hayward Gallery, nei disegni, nelle sculture e nelle installazioni di grandi dimensioni e nei numerosi video che compongono Love is what you want.
Ogni opera di questa straordinaria retrospettiva sembra sfumare nella successiva. Videoinstallazioni come Why I never became a dancer e How it Feels, in cui la Emin descrive con la calma surreale gli abusi sessuali dell’adolescenza in Margate e la sofferenza, fisica e mentale, dell’aborto sono opere di straordinaria intimità, veri e propri videodiari di un’anima inquieta che cerca chiarezza.
Sulle trapunte, i cosiddetti quilts (che tanta importanza hanno nella storia culturale anglosassone) l’artista cuce lettere, frasi, testi, disegni, parole. Sono ordini, dichiarazioni, domande senza risposte, quelle che galleggiano nell’aria chiedendo solo di essere udite. E le parole sono ovunque in questa mostra, non solo cucite sulle coperte. Sono scribacchiate con la biro, stampate, ricamate, persino curvate in tubi di neon, come nell’installazione che dà il titolo alla mostra. Migliaia di parole, che assalgono l’osservatore con un’urgenza autobiografica che testimonia una ferita ancora aperta. Novella Frida Khalo, la Emin ha fatto della sua arte l’espressione di una leggenda personale.
Quello che offre è un frammento multimediale – su stoffa, carta, legno, video, neon – di una biografia in corso di svolgimento. Una biografia raccontata con intelligenza e sensibilità dai curatori della mostra, Cliff Lauson e Ralph Rugoff, e il cui grande merito è di aver scelto opere che hanno il pregio di trasformare quelle che sono le debolezze dell’arte della Emin – come una certa tendenza alla ripetizione – in punti di forza, con l’aver dedicato molto spazio ai suoi disegni. Disegni piccoli, invitanti, violenti, il cui tratto nervoso ricorda l’espressionismo di Schiele.
Perché quando è in vena, Tracey Emin disegna come un angelo. Un angelo travolto dalla vita, forse. Ma soprattutto un angelo che, nonostante tutto, riesce a non prendersi troppo sul serio.
Paola Cacciari
Londra // fino al 29 agosto 2011
Tracey Emin – Love is what you want
a cura di Cliff Lauson e Ralph Rugoff
www.haywardgallery.org.uk
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