E guardo il mondo da un oblò
Per il Giappone, alla 54. Biennale di Venezia c’è Tabaimo. Ovvero la 36enne Ayako Tabata, raffinata ideatrice di disegni per la proiezione. L’occasione è buona per lasciarsi inebriare dal flusso delle sue immagini visionarie, inserite questa volta in un’installazione ambientale complessa.
Tabaimo è la 36enne giapponese Ayako Tabata (Hyogo, 1975; vive a Kyoto). Molti ricorderanno un suo video presentato, sempre a Venezia, nel 2007, all’interno della mostra internazionale curata da Robert Storr, nella grande sala interrata al Padiglione Centrale ai Giardini. Nel lavoro di Tabaimo, consistente in disegni per la proiezione, si mescolano alla perfezione, da un lato una tendenza al fantasmagorico di ascendenza surrealista con l’asciuttezza pop propria del fumetto; dall’altro, una grazia sensuale ma rigorosa, tipicamente nipponica, che rimanda a Hokusai, con la ritmicità di tenore automatico di un immaginario in forma di palinsesto, alla William Kentridge.
A questo punto della sua carriera, Tabaimo rappresenta una certezza. Passa agevolmente da film che descrivono l’interazione di immaginari astanti-deus ex machina, a videoinstallazioni ambientali complesse, in cui il fruitore viene accompagnato anche fisicamente all’interno di fantasie architettonico-cartoonesche paniche e sardoniche. Per questa Biennale 2011, Tabaimo si è avvalsa della collaborazione di un architetto vero e proprio (Yoshizaka Takamasa) e ha trasformato il Padiglione nazionale giapponese in una stanza dell’ambivalenza, insieme claustrofobica e aperta, resa internamente centripeta da un continuum di superfici curve e specchianti, e tuttavia progettata per risultare anche spalancata sul mondo, attraverso due aperture tra loro speculari, concettualmente connotate: un buco al centro del soffitto – in direzione del cielo – e uno in mezzo al pavimento, rivolto verso la Terra. Tutto questo, a far da supporto strutturante a un video di appena cinque minuti, che avvolge lo spettatore come in una spirale, e lo inebria con immagini di metamorfosi naturali e non, nel contempo sinistre e limpide, prodigiose ma mai stucchevoli.
L’ebbrezza sensoriale offerta dall’operazione installativa messa su da Tabaimo non è certo di tipo oggettuale come quella proposta nel Padiglione svizzero da Thomas Hirschhorn, né di tipo ritualistico-performativo come quella concepita per il Padiglione tedesco da Christoph Schlingensief, né tantomeno di matrice minimalista, come quelle firmate James Turrell. Più “classici” e inconsueti, gli esiti di tipo para-narrativo del suo discorso la collocano nel solco di un filone espressivo relativamente poco battuto, sul cui trono siede ben saldo il succitato Kentridge, ancora piuttosto indisturbato. Tabaimo comunque ha delle chance: è l’anti-Nathalie Djurdberg asiatica, e anche stavolta ha dimostrato di essere un cavallo di razza.
Pericle Guaglianone
Venezia // fino al 27 novembre 2011
Tabaimo – teleco-soup
(Padiglione Giappone)
a cura di Yuka Uematsu
www.jpf.go.jp/venezia-biennale/
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