Festa e Lo Savio. Fratelli (e artisti) d’Italia
Fino al 7 agosto, lo ZKM di Karlsruhe ospita una curiosa retrospettiva su Tano Festa e Francesco Lo Savio, artisti (e fratelli) italiani. Per riscoprire e far conoscere l’opera di due spiriti generosi e irregolari. Ne abbiamo parlato con uno dei curatori della mostra, Freddy Paul Grunert, che conobbe Festa a Roma negli anni '60.
La mostra in corso allo ZKM di Karlsruhe intende riscoprire la centralità di Tano Festa (Roma, 1938-1988) e Francesco Lo Savio (Roma, 1935 – Marsiglia, 1963) nell’arte europea degli anni ’60. Ad aprire le danze, un tributo a una famiglia di grandi collezionisti romani, i Franchetti: una stanza delle meraviglie che raccoglie alcuni degli artisti più significativi dell’epoca.
Dopo l’assaggio della madeleine, che ci riporta tra gli altri a Schifano, Pascali, Fontana, De Dominicis e Twombly, inizia una passeggiata tra gli schizzi seriali e le tele citazioniste di Tano Festa, artista che riscopriamo postmoderno ante-litteram e che incanta con icone della storia dell’arte appiattite in sfondi acrilici o intrappolate da persiane rigorose. A regalare un punto di vista più articolato sui lavori, una postazione di lettura e un red carpet che parte da alcune proiezioni video e termina di fronte alle biografie dei due artisti, entrambe segnate dal suicidio di Lo Savio, avvenuto nella Cité Radieuse di Le Corbusier a Marsiglia nel 1963.
Un senso di mancanza inizia allora a farsi presente: dov’è l’altro? La mostra è organizzata intorno a un nucleo, una “sala nella sala” che protegge le opere di Lo Savio. Nello scrigno si possono osservare Spazi-luce, Filtri e diagrammi logici che testimoniano la ricerca estrema e solitaria dell’artista.
Uno dei curatori della mostra, Freddy Paul Grunert, reduce da vent’anni di vita romana e assiduo frequentatore di casa Franchetti, parla con Artribune della mostra, del collezionismo e dell’Italia che fu.
Com’è nata l’idea di realizzare una mostra su Francesco Lo Savio e Tano Festa allo ZKM?
Alla base della mostra c’è il mio rapporto personale con Tano Festa e con la famiglia Franchetti, che mi accolse quando nel 1983 mi trasferii a Roma dalla Germania. Un’altra tappa importante è stata la Biennale di Venezia del 1993, a cui partecipammo sia io che Peter Weibel (direttore dello ZKM e co-curatore della mostra). In quell’occasione, Achille Bonito Oliva presentò Fratelli, un omaggio a Lo Savio e Festa. A questo si è aggiunta una felice convergenza tra un progetto di Weibel sulla biblioteca ideale e un aneddoto su Festa che lo colpì molto.
Ce lo racconta?
Incontrai Tano per la prima volta in via del Babuino. Si trovava in un camioncino aperto, da cui uscivano delle macerie e volavano pagine di libri. Tramite Giorgio Franchetti, scoprii che viveva in strada e che quella era la sua forma di lettura. Strappava pagine dai libri, le leggeva e poi le lasciava libere, creando una sorta di biblioteca eterotopica. Quando raccontai l’episodio a Weibel, si incuriosì subito e iniziò ad accarezzare l’idea di presentare un pittore allo ZKM, idea che generalmente non lo avrebbe neanche sfiorato. Da lì venne naturale l’idea di investigare il sodalizio artistico con il fratello, un aspetto poco trattato ma molto interessante.
Quali sono gli aspetti che la mostra intende riscoprire?
Il concetto di Lack of the Other, che dà il titolo alla mostra: l’assenza dell’altro. L’altro va inteso come senso, ma anche come mancanza di fiducia verso le istituzioni, verso un linguaggio che si auto-rappresenta. Questo vuoto negli anni ‘60 si tramutò nella scelta radicale di azzerare il linguaggio convenzionale e riproporlo sotto forma di nuovo linguaggio artistico. In fondo, le nuove generazioni hanno oggi lo stesso disincanto nei confronti dei linguaggi istituzionali e devono, come allora, riformulare il ruolo dell’uomo nel mondo e la sua capacità di descrivere i fenomeni.
Quanto è importante la creazione di un quadro contestuale per capire l’importanza del lavoro di Lo Savio e Festa?
Per quanto riguarda Lo Savio, credo sia fondamentale segnalare la curatela della mostra 0+0 alla Galleria La Salita di Roma nel 1961, con lavori di Mack, Klein, Piene e Ueker. In quel caso non fu capito il suo tentativo di affermare che la luce esiste solo in relazione al suo contrario. Festa, che pure fu molto influenzato dal fratello, dopo lo shock del suo suicidio si allontanò dalla dissoluzione dell’opera, cercando di recuperare delle tracce. Con l’annessione di “particolari” di opere rinascimentali nei suoi dipinti, Festa comunica l’intenzione di perseverare e di preservare l’immagine. E in questo anticipa di vent’anni l’arte post-moderna. Al contempo seguiva però ancora un ritmo molto rigoroso, molto “mondrianesco”, e quindi anche molto vicino a Lo Savio. Poi ci sono dei punti poco chiari che tenteremo di approfondire nel catalogo.
Vuole anticiparci qualcosa?
Il catalogo sarà enciclopedico. Tra le altre cose, cercheremo di indagare perché Tano Festa non venne recepito all’estero: l’ipotesi caratteriale francamente non è accettabile. Per contro, suggeriremo che la sua dimenticanza sia connessa all’errata assimilazione del suo lavoro alla Pop Art e precisamente alla partecipazione alla Biennale di Venezia del 1964, prima grande vetrina europea della Pop Art americana.
La mostra ospita il “Cabinetto Franchetti”, un tributo esplicito alla grande famiglia di collezionisti che ha supportato Tano Festa…
In casa Franchetti regnava una disputa perenne sul significato dell’arte e della scienza. In Italia, contrariamente alla Germania, regnava una totale confusione, un modo di interpretare più foucaultiano e concettuale, e quindi anche più aperto e trasversale. Casa Franchetti fu per me un esempio dell’orizzontalità della società mediterranea. Era una famiglia che, nella sua ramificazione e nella sua potenza, preservava un forte spirito combattivo e che non ha mai seguito i vari baroni dell’arte (da Celant a Bonito Oliva). Osservando Giorgio Franchetti, era anche interessante vedere come un collezionista entrasse in contatto con l’artista e la sua opera. In alcuni casi seguendone soltanto la produzione, in altri invece assorbendolo, com’è successo proprio con Festa. Bisogna considerare poi che Giorgio era socio della Galleria La Tartaruga, una delle più importanti gallerie italiane del tempo.
Cosa l’ha spinta a restare a Roma?
Dopo la laurea, per lo Schaubühne di Berlino organizzai a Ostia Antica una Orestea dalla durata di nove ore, seguita incredibilmente da 1.500 persone. Un altro evento che mi ha molto colpito è stato il funerale di Berlinguer: quasi due milioni di persone che, in un modo completamente pacifico, celebravano un’idea. Questi due eventi mi hanno convinto a restare a Roma, una città dove poter davvero convivere, coesistere.
Poi, appena arrivato conobbi Emilio Prini, col quale intrattenni un decennale sodalizio artistico, filosofico e di amicizia. È stato anche interessante vedere nel tempo la differenza fra l’Italia e la Germania: un Paese che inizia a gonfiare i suoi muscoli e l’altro che invece in qualche modo li affloscia. Quella magia che tanto mi aveva affascinato si è tramutata in un cinismo nei confronti dell’arte e della scienza che percorre l’Italia dal Sud al Nord. Da due anni vivo stabilmente in Germania, però ho mantenuto una casa sul Lago di Bolsena, il lago vulcanico più grande d’Europa, all’epoca punto d’incontro dei Franchetti con Twombly, De Dominicis, Paolini, Kosuth, De Kooning, Chia, Mauri e molti altri. Diversi documentari che ho incluso nella mostra sono stati girati proprio in quei luoghi.
Un giorno tenterò di fare un riassunto di quello che accadeva sulle sponde del lago, un sodalizio fra artisti tra loro lontanissimi, una ricerca tra natura e scienza, una sperimentazione perfetta per quella terra. Il lago di Bolsena, infatti, oltre a essere il punto più stretto tra il Mediterraneo e l’Adriatico, è da millenni un centro di attrazione energetica e magnetica.
Sara Giannini
Karlsruhe // fino al 7 agosto 2011
Francesco Lo Savio / Tano Festa – The Lack of the Other
a cura di Freddy Paul Grunert e Peter Weibel
www02.zkm.de/losaviofesta
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