Davvero si stenta a credere che i grumi nervosi di materia – frammenti di vetro, lastre di terracotta, schegge di ardesia, tondini di rame, ferri contorti, fusioni di alluminio, coaguli di gesso, pezzi di legno – che durante questa estate abitano gli ambienti fatiscenti di un’ala del pianterreno del Palazzo Risolo di Specchia, nel cuore del Salento più remoto, non siano lì da sempre. Alcuni sono abbarbicati come concrezioni naturali alle pareti dall’intonaco stratificato e lacunoso, altri albergano quasi nascosti all’interno di piccole nicchie, in altri casi appaiono come epifanie abbaglianti nel vano delle finestre o si stendono con effetto mimetico sui muri feriti da brecce, lesioni, umidità.
Sono le opere che Marco Gastini (Torino, 1938), artista nordico ma ormai stregato in maniera irrimediabile dal Salento e dall’atmosfera metafisica del luogo, ha voluto riunire in una mostra promossa da Marina Senin Forni – collezionista bolognese che di Specchia ha fatto la sua seconda casa e vi anima lo Spazio Cactus – e intitolata non a caso Miraggi e riflessi, con il viatico di un bel catalogo in cui figurano un poetico testo del curatore Luigi Ficacci e un’appassionata testimonianza del regista Edoardo Winspeare.
Quel palazzo, che fu sede dei marchesi locali, oggi vuoto e memore dei danni provocati dall’incuria degli uomini e dalle offese del tempo, è sembrato a Gastini l’alveo naturale in cui depositare alcune delle sue opere più recenti (datate tra il 2005 e il 2011, con l’eccezione di una del 1999), senza turbare la quiete metafisica di quegli spazi, testimoni di vicende a volte liete, più spesso tragiche.
La pittura di Gastini è magma informe, gremito di tensioni, che molto spesso evade dal carcere delle due dimensioni; la materia si espande sulle tele e sulle pareti con incedere vibrante e insieme controllato, indizio di un’intensa concentrazione energetica che finisce per innescare il coinvolgimento sensoriale dello spettatore; il colore svaria continuamente dal bianco sporco al giallo chiaro, dall’ocra intenso alle terre, dal bruno al nero vellutato, senza eccessi, ma impreziosito da tocchi improvvisi di pigmento blu intenso e da rari riflessi di luce sugli elementi metallici.
La matrice postinformale della ricerca ultraquarantennale dell’artista torinese si riconosce ancora oggi, ma il suo percorso si è snodato tutto all’interno della fedeltà irremovibile al linguaggio della pittura, con cadenze di volta in volta diverse, che pur dando conto della sua attenzione per le contemporanee vicende della ricerca artistica, dal Minimalismo all’arte concettuale, hanno sancito la sua piena autonomia e l’hanno fatto inserire fin dai primi anni ‘70 fra i pionieri della Pittura Analitica.
Una mostra insospettabile in un luogo certamente “alla periferia dell’impero”, realizzata con la collaborazione della bolognese Otto Gallery e con pochi sponsor privati, senza alcun sostegno pubblico. Rara e preziosa, come poche.
Lia De Venere
Specchia // fino al 4 settembre 2011
Marco Gastini – Miraggi e riflessi
a cura di Luigi Ficacci
[email protected]
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