Il futuro (e il presente) della scultura, secondo Saatchi

La prima collettiva dedicata alla scultura ospitata dal Re Mida inglese dell’arte nel palazzo di King’s Road è una playlist che segue la nota inclinazione per il grandguignol e il gigantismo. Oltre che una sintesi dello stato delle arti plastiche. Alla Saatchi Gallery di Londra fino al 16 ottobre.

Volendo trarre indicazioni dalla selezione di nomi ospitati nelle grandi sale minimal della Saatchi Gallery, la prima annotazione sarebbe di carattere geografico, e sostanzialmente una conferma. Tutti gli artisti provengono dall’area anglosassone, fiamminga o tedesca. La seconda considerazione, altrettanto confermativa di un trend, riguarda la proliferazione dei materiali. Legno di recupero, neon e poliuretano sono ormai canonizzati quanto il marmo e il bronzo: le “nuove sensazioni” sono la materia cerebrale, il budello di mucca e persino le pagine dell’Etica di Spinoza.
Venti gli artisti presenti (diciannove “giovani” tra i trenta e quaranta anni, più il grande vecchio John Baldessarri con il dadaista Beethoven’s Trumpet): immaginando l’esposizione come una biennale della scultura, il primo premio andrebbe sicuramente alla belga Berlinde de Bruyckere. Marthe, un corpo femminile in cera senza testa e genitali che termina in ramificazioni arboree, e i cavalli tassidermizzati, sgonfiati fino alla riduzione a forme accasciate, sono montati su tavoli e teche che servono da contrappunto geometrico al lavoro centrato sullo straniamento di ogni aspettativa formale.
Una certa familiarità con il dimorfismo uomo-animale (e con la citazione dell’arte classica), probabilmente dovuta all’influenza del nume locale Jan Fabre, interessa anche gli altri scultori dell’area. Folkert de Jong unisce figure celebri, conquistadores, arlecchini picassiani e personaggi della Ronda di notte di Rembrandt, in danze macabre a tinte sgargianti su basi color pece; Peter Buggenhout assembla perturbanti ibridi meccanico-organici coperti di polvere che sarebbero piaciuti a William Borroughs.

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David Batchelor - Brick Lane Remix I - 2003 - courtesy Saatchi Gallery, Londra

Sempre assecondando il genius loci, l’inglese Thomas Houseago riempie la sala di figure umane ieratiche che rimandano ad Anthony Gormley, mentre i tedeschi Bjorn Dahlem e Anselm Reyle e lo scozzese David Batchelor utilizzano il neon per creare strutture geometriche o cromatiche, forse meno dense e più datate rispetto ai lavori di area fiamminga, come il puro decorativismo di David Thorpe o il pop fuori tempo massimo di Matthew Brannon.
Vale la pena menzionare tre opere di forte impatto: Riesen di Martin Honert, due ciclopi iperrealisti dalle fattezze vichinghe, una delle “immagini infantili” che l’artista si propone di salvare; The Healers di David Altmejd, un gruppo scultoreo che rappresenta un’intricata orgia di corpi e scheletri erosi e in decomposizione, ennesima variazione sul tema Eros-Thanatos; e infine Summit di Kris Martin, un’installazione concettuale di rocce megalitiche che possono rimandare ai dolmen oppure, secondo le parole dell’autore, ai paesaggi fantastici e impervi di Joachim Patinir e dei suoi contemporanei.
Stavolta il proverbiale fiuto di Charles Saatchi non si è applicato al talent scouting di nuovi nomi e tendenze, ma alla composizione di un quadro eterogeneo e sostanzialmente esauriente.

Alessandro Ronchi

Londra // fino al 16 ottobre 2011
The Shape of Things to Come: New Sculpture
www.saatchi-gallery.co.uk

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Alessandro Ronchi

Alessandro Ronchi

Alessandro Ronchi (Monza, 1982) è critico d’arte e giornalista culturale. Si interessa specialmente di arte dalle origini alla contemporaneità, iconografia, cinema, letteratura, musica e pop culture. Ha diretto il mensile Leitmotiv e collabora con testate giornalistiche, website e gallerie. Tiene…

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