Arte Povera. Correva l’anno 1968
La rassegna celantiana dedicata all’Arte Povera si va componendo. Molte delle tessere del mosaico sono al loro posto. E allora noi torniamo all’origine, ovvero alla mostra bolognese. Spente le luci dei riflettori più potenti, c’è tempo per qualche riflessione. Siamo al MAMbo, dove la mostra prosegue fino al 26 dicembre.
Contiene molto Arte povera 1968. Forse tutto, laddove per ‘tutto’ s’intende il nucleo dell’origine di un’idea già formalmente definita e conclusa. Se la mega-rassegna celantiana sull’Arte Povera parte proprio da Bologna (quindi dal MAMbo), il motivo ha un reale fondamento nel manifestarsi temporale di un materiale bollente (poi esploso) ma “esposto” e discusso per la prima volta in una città fertile, che però non fu teoricamente la sua culla di nascita.
Rappresentò invece, nel 1968, il primo reale vettore di visibilità e dibattito critico, i cui interventi furono raccolti in un quaderno curato da Piero Bonfiglioli per le edizioni de’ Foscherari. Ne sono testimonianza in mostra, oltre ad alcune delle opere esposte sempre alla bolognese Galleria de’ Foscherari dal 24 febbraio al 15 marzo di quell’anno, preziose e illuminanti pubblicazioni dell’epoca (e, vista la quantità, anche molto ben allestite in vetrine semplici ma efficaci). Una parabola cartacea con un taglio netto e combattivo, oggi impensabile nella disarticolazione ideologica di gran parte del contemporaneo, con titoli come Arte Povera. Appunti per una guerriglia del novembre 1967 (quando Flash Art costava 300 lire) o Contestazione estetica e azione politica su Cartabianca del 1968.
Una raccolta di libri, manifesti, cataloghi, inviti, monografie, locandine (curata da Giorgio Maffei e Corraini Edizioni) precisa e puntuale, che si estende nel prima e nel dopo, coprendo tutta l’evoluzione del movimento, fino a includere celebri locandine come quella di Kounellis all’Attico nel 1967 con i dodici cavalli vivi.
Dunque, tante “barchette di carta”, magari didascaliche o già didattiche, ma ai fini della mostra, non proprio quelle bolle di sapone provocatoriamente soffiate dall’artista Alberto Esse al cospetto del serioso critico-ideatore Celant durante la conferenza stampa.
Le opere, se questo è un inizio, sono quelle giuste e segnano ancora più il passo di un avvio senza confini: dall’Igloo con albero del ’68 di un Mario Merz già definito e definitivo, passando per le Patate del ’77 di Giuseppe Penone e per l’ormai popolare Venere degli stracci del ’67 di Michelangelo Pistoletto, sino allo Jannis Kounellis dei dodici sacchi di iuta con il carbone (sempre ’68) e al lapidario, gelido e decisivo Scalea del ’68 di Pier Paolo Calzolari.
Una tappa molto utile per comprendere le origini e la scintilla della partenza di un movimento così radicale, che rapidamente segnò l’uscita netta dalla tradizione dei materiali attraverso un impianto sociale, filosofico e politico. E per cominciare a riflettere sulla domanda dello stesso Germano Celant: “Quale ulteriore lettura si può fornire, considerato che sono mutate le condizioni politiche, sociali ed economiche che si basavano sulla contrapposizione di due fronti, eredità della guerra fredda, e si sono aperti universi eterogenei ruotanti su un mercato globale?”.
Claudia Colasanti
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Bologna // fino al 26 dicembre 2011
Arte povera 1968
a cura di Germano Celant
Catalogo Electa
MAMBO
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