Il Rinascimento a Roma, lo spettro di una mostra mitica
Capitolo grandi mostre, ancora una volta. Siamo a Roma, a Palazzo Sciarra, dove fino a febbraio si mette in scena nientemeno che il Rinascimento. E, come spesso capita in queste occasioni, emerge qualche problema.
La Fondazione Roma Museo lancia al pubblico la sua proposta per la stagione autunnale: un grande classico, un classico dall’insostenibile peso specifico. Due sfere di polarizzazione culturale, Roma e Rinascimento, che da sole si schiudono su campi sterminati di significanti e che, accostate, si riflettono reciprocamente duplicando la potenza d’azione. Non è finita. Il progetto espositivo si snoda in sette sezioni, ognuna delle singole frazioni potrebbe da sola valere il progetto scientifico per una complessissima esposizione.
Curatori – Maria Grazia Bernardini e Marco Bussagli – e comitato scientifico si sono scelti una bella gatta da pelare. Prima di stringere sulla mostra, vale la pena lanciare uno sguardo seppur fugace su uno dei fenomeni più complessi della storia dell’arte: Rinascimento nella sua versione capitolina.
Italia centrale, primi decenni del XV secolo. I centri di produzione culturale raccolgono i frutti una straordinaria coincidenza. Corti, accademie e università sono iniettate della vitale linfa del primo neoclassicismo nelle forme del neoplatonismo, di dottrine alchemiche, astrologiche ed esoteriche. Filosofi e teologi cercano energicamente di concertare Atene con Gerusalemme, Bisanzio con Roma.
Dopo secoli di stretta osservanza all’austera “maniera” gotica e bizantina, artisti e botteghe possono attingere dal bacino dell’immaginario profano e dei motivi classici. Dopo il massacro della peste trecentesca, si affaccia sul nuovo secolo una rinnovata società cortese che conta sulle prospettive di un’economia rinvigorita. Roma cerca di stare al passo. Nei secoli, la città augusta è sopravvissuta ai saccheggi di Roberto il Guiscardo, alle minacce di Enrico IV, alla cattività avignonese e ai Cola di Rienzo. Nonostante tutto, il Papa si è sempre imposto sullo scenario continentale; riuscirà a farlo ancora, seppur zoppicante per l’arretratezza economica della città eterna.
Roma non cessa d’essere il più alto centro politico e decisionale del continente. A Roma accorre la nobiltà europea per garantirsi una buona visuale sul futuro, per fare di Roma la prima e autentica Piazza Affari, alla corte del Papa. A ciò la città deve la sua immensa fortuna artistica.
Slegata dalla secolare committenza ecclesiastica, si affacciano sullo scenario artigianale e artistico nuovi committenti di spicco: sono i rampolli del vegeto capitalismo mercantile, sono i ricchi banchieri toscani, sono le famiglie delle cento corti europee che riescono presto a inserirsi negli ingranaggi della Chiesa e in breve scalano il soglio pontificio. Aldobrandini, Corsini, Barberini.
Non è azzardato vedere nello scenario economico e culturale del XV e XVI secolo alcune tangenze col quadro dell’Europa del secondo dopoguerra. La ricostruzione lancia il boom economico e apre i mercati al capitalismo consumista. Sul fronte culturale, il vecchio continente scopre gli esiti freschissimi della matrice americana. Rock’n’roll, espressionismo astratto, beat generation.
Quanto descritto è solo il commento tascabile di un fenomeno vastissimo e alimentato da mille rivoli, conoscenze, esperienze. Per comprendere Roma e il Rinascimento è necessaria una forma mentis ben predisposta, tempo e volontà di muoversi tra le chiese, i palazzi, le collezioni e le biblioteche.
Il prodotto-mostra, si parla in questo caso di Palazzo Sciarra, si conferma insufficiente a esaurire gli argomenti di un periodo storico o di un fenomeno culturale. Prefiggendosi obiettivi così ambiziosi, la mostra non riesce a entrare nel merito delle questioni, non delinea in maniera esaustiva nessuno dei sette punti. Le opere, a volte meravigliose, diventano punti anonimi in uno schema slacciato, la loro scelta pretestuosa. Le parole rimangono importanti, più importanti delle strategie di marketing.
Più del 50% delle opere proposte a sono custodite nel raggio di un paio di chilometri dalla sede di via Minghetti 22. È allora consigliabile agli avventori della mostra una più approfondita visita alle collezioni Barberini, Corsini, Borghese, Spada, Doria Pamphilj.
La mostra della Fondazione Roma rivela inoltre gravi deficienze sul piano dell’allestimento. Il ritmo del percorso risulta grumoso e sincopato. A quadri di medie dimensioni e di straordinario valore storico è riservato lo spazio di un corridoio di un paio di metri di larghezza; difficile è quindi goderne la visione complessiva. Quando non compresse in spazi devitalizzanti, le opere sono invece concesse al lugubre abbraccio delle scenografie.
La Fondazione non è di certo la prima a farne uso, restano in ogni caso diversi modi di procedere. Gli interventi minimali nell’allestimento alle Scuderie del Quirinale durante la mostra del Lotto, per fare l’esempio più semplice, si pongono un passo indietro rispetto alla centralità indiscussa dell’opera. Ornamento e delitto. A Palazzo Sciarra, la flessibilità del compensato rasenta i limiti del protagonismo di gusto kitsch; le paretine carta da zucchero interrompono prima i pochi spazi generosi che la sede consente per poi farsi nicchie, volte, androni, pilastri e capitelli, con tanto di finti fregi.
Less is better, less is better, tre volte less is better.
Luca Labanca
Roma // fino al 12 febbraio 2012
Il Rinascimento a Roma
FONDAZIONE ROMA MUSEO – PALAZZO SCIARRA
Via Marco Minghetti 22
06 697645599[email protected]
www.museodelcorso.it
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati