Futurista e neoclassico: la doppia vita di Severini
Un ponte tra Francia e Italia, tracciato da Gabriella Belli nel corso di quest’anno. Ultima tappa, una mostra dedicata al futurista più francese di tutti: Gino Severini, “l’ambasciatore parigino”. A Rovereto fino all’8 gennaio.
Una grande retrospettiva, nata dalla collaborazione tra il Mart e il Musée d’Orsay, che rispetto all’anticipazione parigina a L’Orangerie, non dimentica l’ultima fase della carriera artistica di Gino Severini (Cortona, 1883 – Parigi, 1966): i lavori degli anni ’40 e ’50. Per il pubblico significa attraversare l’intero percorso compiuto dall’artista, assaporarne a pieno i diversi momenti, aldilà di quelli più celebrati come la danza o la Commedia dell’arte.
Entusiasta della frenetica vita parigina, Severini, sa rappresentarla in tele come Le boulevards e Souvenirs du voyage, ma anche attraverso il pullulare della vita notturna tra balli e cabaret. La celebrazione della danza lo accomuna a due grandi francesi come Toulouse Lautrec e Degas, ma i tempi ormai mutati spingono la sua pittura verso una scomposizione delle forme unita alla resa degli effetti di luce che la conducono all’astrazione. Nella rappresentazione delle sue Danseuse, l’artista sembra voler affermare che le situazioni non si modificano attraverso un unico tempo e spazio, ma convivono simultaneamente sulla scena. La sintesi di linee, colori e forme fa sì che meriti un posto accanto ai grandi pittori astratti.
Eppure quello che mette ben in luce questa mostra è il trauma della Grande Guerra, uno spartiacque tra due diverse anime: il Futurismo e il Ritorno all’Ordine. Astrattismo e plasticismo delle forme.
Cosa sia potuto capitare nel giro di pochi anni segnati dalla guerra è visibile dal confronto tra le tele a tema bellico commissionategli direttamente da Marinetti e La Maternità del 1916. La “simultaneità dinamica” delle forme come esaltazione della modernità e la volumetria plastica come ritorno al classico. In Train blindé en action e Lanciers à cheval a preoccupare l’artista è ancora il dinamismo. Nel giro di un anno Severini sembra già avvertire un affievolimento di quell’esaltazione iniziale. La tendenza all’astrazione che lo ha sempre caratterizzato rispetto agli altri futuristi, cessa del tutto, per un ritorno, al di là della parentesi cubista, alla forma salda e volumetrica. Sembra un’inversione di marcia rispetto a quanto scriveva Marinetti: “La Guerra è la sintesi culminante e perfetta del progresso”. Si spinge all’indietro recuperando come molti protagonisti di questo ritorno all’ordine fonti iconografiche della Commedia dell’Arte. In mostra parte della decorazione della Casa Leonce Rosenberg a Parigi. Le maschere compaiono ai piedi dei Fori Imperiali, così come nella più classica tradizione pittorica italiana. Non c’è più movimento, le figure malinconiche sono immerse in uno spazio senza tempo, non molto lontano dagli effetti della pittura metafisica.
Da frequentatore di cabaret, Severini grande interprete di quel mondo notturno di teatri e danze si rifugia nell’isolamento. Stranamente la Seconda Guerra sembra non toccarlo proprio, ripiegato com’è sugli affetti familiari e su un ripensamento di Matisse.
Antonella Palladino
Rovereto // fino all’8 gennaio 2012
Gino Severini – 1883-1966
a cura di Gabriella Belli e Daniela Fonti
Catalogo Silvana Editoriale
MART
Corso Bettini, 43
800397760 / 0464 438887
www.mart.trento.it
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati