L’impossibile tornare dei giorni
Il passato non può mai ripetersi, se ciò che si cerca è il processo. Neanche quando una mostra prende le mosse dalla rievocazione di un evento glorioso. Oltre la documentazione, la rivivificazione: “Arte Povera più Azioni Povere 1968”, a Napoli, al Madre, fino al 20 febbraio.
Certo, bisogna ammetterlo. Entrando in Donnaregina Vecchia, il gioiello gotico inanellato al Madre, la prima sensazione è di oppressione. Le opere rievocanti Arte Povera più Azioni Povere 1968, tappa poverista cult agli Arsenali di Amalfi, sono troppe prime attrici in soffocamento su un palco troppo piccolo. L’intento di restituire l’atmosfera espositiva dell’epoca, in senso didascalicamente rigido, non vuol né potrebbe esser soddisfatto dalla location più contenuta, seppur di affiancabile suggestione medioevale.
Irripetuto resta il fascino dei grandi spazi vuoti amalfitani, guscio respirante e congeniale all’esplosione di energia in atto dell’Arte Povera. Ma, distaccandosi dallo scopo piattamente riproduttivo della situazione già vissuta, la circostanza è di nuovo, forse più, interessante. Del resto, inevitabile appare, alle radici del mood poveristico, il rifiuto del ri-percorrere. L’infinita variazione nel processo, questo sì è il destino dell’Arte Povera. Violenza è chiederle di replicarsi esattamente uguale al già vissuto.
Eccola, la “fluidità” che per Celant “rifiuta l’oggetto rigido, congelato, cadaverico” per ricercare “la qualità performativa ed energetica di un oggetto che fa qualcosa in uno spazio”. Che senso ha, allora, riproporre altrove opere riconducibili all’evento-chiave? Forse scoprire che esse, sintonizzandosi su umori e identità del nuovo spazio, rivelano inediti sensi. Come la cortina luminosa di Michelangelo Pistoletto, che all’ingresso del luogo (almeno un tempo) sacro sembra dare accesso al portato energetico di una dimensione metafisica. O come il tormentato knitting di Marisa Merz, celato dietro colonne, a focalizzare la marginalità della donna nell’arte. O, ancora, come la proiezione di Giuseppe Penone, resa quasi affresco tra gli affreschi, o l’oscuro richiamo all’inconscio di Jannis Kounellis, ancor più rimosso se nascosto in una cappella laterale.
Avvicinatisi all’abside, la temperatura estetica s’innalza: acquisiscono il colore della disincantata consapevolezza dell’ossimoro vita-eternità gli stracci sul sarcofago di Michelangelo Pistoletto, la contraddetta perfezione classica di Giulio Paolini e, culmine d’ironica diffidenza, i bachi di Pino Pascali sull’altare. Si palesa, allora, la piacevole scoperta di aver assistito all’ancora intatta capacità di “sorpresa ambientale e architettonica” dell’Arte Povera, al suo “fluido che continua a esser vitale”.
Perché l’eterno trasformarsi, e non il documentare o permanere, è il senso della vita che essa è chiamata a esprimere.
Diana Gianquitto
Napoli // fino al 20 febbraio 2012
Arte Povera più Azioni Povere 1968
a cura di Germano Celant e Eduardo Cicelyn
Catalogo Electa
MADRE
Via Settembrini 79
081 19313016
www.museomadre.it
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