Sorella povertà. Da Grotowski a San Francesco
Il sentimento della vergogna, la condizione della povertà. In questo sottile incastro si colloca l’indagine di Andrea Bϋttner, protagonista del programma espositivo della Collezione Maramotti. Un lungo viaggio in Italia, sulle tracce del rigore monastico e dell’essenzialità nell’arte. E poi una mostra, in cui si incontrano filosofia, spiritualità, poverismo. A Reggio Emilia fino al 29 aprile.
“Non è il teatro che è necessario, ma assolutamente qualcos’altro. Superare le frontiere tra me e te: arrivare a incontrarti per non perderti più tra la folla, né tra le parole, né tra le dichiarazioni, né tra le idee graziosamente precisate, rinunciare alla paura ed alla vergogna alle quali mi costringono i tuoi occhi appena gli sono accessibile tutto intero. Non nascondermi più, essere quello che sono.”
Jerzy Grotowski nel teatro cercava la verità. E sapeva che la verità trovava voce e luogo nella presenza consapevole dell’attore, sacerdote di un rito archetipico da officiare al centro della scena. Era ateo, il padre del teatro povero. Ma temi e termini mutuati dalla cultura religiosa ricorrevano spesso nei suoi scritti. Si trattava per lui d’arrivare al cuore delle cose, come a volersi spogliare di ogni trucco e artificio, liberandosi di imbarazzi, filtri, convenzioni. Essere nudi, finalmente, dentro quello spazio sacro che era spazio dell’atto scenico. “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”: corrispondenze sotterranee, dal vangelo secondo Giovanni, al teatro secondo Grotowski.
Si nutre di tutto questo l’immaginario di Andrea Bϋttner (Stoccarda, 1972; vive a Londra e Francoforte), vincitrice nel 2011 del Max Mara Art Prize for Women e oggi protagonista di The Poverty of Riches, personale alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia. C’è il rapporto tra immagine e sentimento del sacro nella ricerca dell’artista tedesca, in un mix di iconografia religiosa e iconoclastia minimalista. C’è una profonda fascinazione per il sentimento religioso e le forme della vita monastica. C’è il tema della povertà come orizzonte estetico, tradotto nell’interesse per le intuizioni grotowskiane come per quelle del poverismo di Germano Celant. C’è la liturgia simbolica del vestirsi e del denudarsi, il conflitto tra ricerca del superfluo e rinuncia, la dialettica tra pelle e tessuto. E c’è, infine, il concetto di vergogna, recuperato, sviscerato, problematizzato: il tabù come rilevatore sociale, la coscienza del divieto come strumento per il suo superamento o, in qualche caso, per la sua accettazione.
I sei mesi di residenza in Italia, offerti in seguito all’attribuzione del premio, hanno portato Andrea Bϋttner a incontrare delle comunità religiose, a studiare gli affreschi di Giotto e alcune opere della raccolta Maramotti, soprattutto Burri, Castellani, Manzoni. E poi l’Arte Povera, altro importante riferimento. In un dichiarato rimando all’impalcatura teorica di Grotowski, Celant parlò negli anni Sessanta di libertà dell’arte rispetto al sistema, ai suoi codici, ai suoi apparati ideologici, ai suoi cliché linguistici e sociali. E parlò anche lui di verità, di radicalità ed essenza, di oggetti e concetti sorprendentemente vivi, consegnati un’irrepetibilità primordiale. Togliere, dunque, come a voler scavare verso un fondo originario.
Una lettura che, più in generale, interessa Bϋttner nei termini del processo artistico e intellettuale. Tutto il suo lavoro non fa che perseguire la via complessa della sottrazione, del grado zero, laddove ciò che rimanda a un sentire “negativo” si tramuta in opportunità. Così, la condizione di povertà prelude al raggiungimento dell’autenticità, mentre la vergogna è riservatezza e cura, magari stimolo per disfarsi di qualcosa che non serve più. Quel San Francesco che spesso torna nel suo immaginario è allora maschera tragica legata all’idea della rinuncia: spogliarsi delle ricche vesti e di ogni bene terreno, in favore della pienezza spirituale. La vergogna non riguarda qui banalmente la nudità del corpo e l’indigenza, ma è, al contrario, vergogna del superfluo, dell’abito, dell’orpello che si fa giogo.
Immediata la ricaduta sul piano delle scelte formali. Se a scandire le xilografie sono dei bianchi e neri ipergrafici, le stoffe colorate di alcuni abiti da lavoro diventano materia prima di una serie di monocromi, reperti del quotidiano sciorinati come un rosario o una nenia propiziatoria; e mentre una biblica catasta di mele funziona come still life oggettuale, articolando seduzione, giudizio morale e condivisione umana, le sedute sparse per lo spazio reinventano assi di legno e casse di plastica: semplici panche su cui spendere una pausa di meditazione e raccoglimento.
Arte fatta di niente, di gesti come riti, di immagini come parabole, di cose come frammenti d’assoluto. Arte provocatoriamente povera, riflesso d’un pensiero scagliato contro la miseria d’ogni ricchezza vana.
Helga Marsala
Reggio Emilia // fino al 29 aprile 2012
Andrea Bϋttner. The Poverty of Riches
COLLEZIONE MARAMOTTI
Via Fratelli Cervi 66
052 2382484
[email protected]
www.collezionemaramotti.org
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati