Alex Pinna, la Fondazione Guglielmo e la rinascita calabrese
A volte risorgono. Il doppio appuntamento dello scorso dicembre è stata la scarica al silente cardiogramma di Cantanzaro. Che il cuore abbia ripreso a battere? In queste righe, una riflessione nel merito, una dissertazione su due protagonisti del weekend, Alex Pinna e il suo partner, la Fondazione Rocco Guglielmo.
Chissà cosa sopravvivrà nei volumi di storia dell’arte di questi ultimi convulsi trent’anni di produzione artistica, di questa corsa al ribasso. Quale sarà l’esito della storia, chissà, i manuali parleranno di un tempo dell’incertezza di fine secolo come preludio al tramonto degli dei che “si riflette, in ambito espressivo, come il tentativo del sacrificio massimo dei padri già cadaverizzati” o forse nei termini di “una civiltà Titanic che spinge i motori al massimo nel definitivo tentativo di evitare la catastrofe”. Tant’è. Il futuro è matematicamente indeterminabile, il presente, questo presente è già passato, vale allora la pena di cercare una costante, un’identità che sopravviva alla morte, a quella morte che è sempre dell’individuo. La reincarnazione è un dato di fatto stando al postulato lavoisierano per cui in chimica nulla si crea e nulla si distrugge; l’uomo non può che trovare reincarnazione nell’uomo.
Per citare l’assunto che Ben Vautier invidia a Spinoza, bisogna ammettere che la libertà non esiste. Essere italiani, l’indeterminazione di nascere qui e oggi, non potendo contemplare il campo libero arbitrio, diventa allora una questione di responsabilità. Conviene allora accettarla e cercare di farsene una ragione, potrebbe andare peggio, soprattutto per un artista, in mezzo a santi e navigatori, pare.
E nemmen l’Italia esiste, equivocata con un’inossidabile, autentica e invidiabile italianità che si smarca dall’individualità regionale della piazza, della corte, del colonnato per diventare puro concetto di piazza, corte e colonnato.
È qui che vive quell’Ytalia tanto agognata e pianta e derisa; nella bambina di de Chirico che gioca alla ruota, nella nebbia di una fotografia di Ghirri, nel volteggio tutto crocco sotto i lumi dell’arco di San Rocco.
Accantonata una internazionalità poi tutto sommato prettamente anglosassone, Alex Pinna (Imperia, 1967; vive a Milano) sa rintracciare la vena aurea di una italianità autentica e, senza esaurirla, meraviglia dell’arte, la completa e la integra così come in un passato recente fecero a loro modo De Andrè, Sanguineti, Nono, Burri, Aldo Rossi in architettura e in teatro Carmelo Bene, seppur maledettamente destruens.
C’è un solo classico e tante declinazioni del classico, ciò che è più vero del classico è che non si sceglie, non si determina. Il classico legittima in ogni presente discorsi primitivi, antichi fantasmi, la figura umana per esempio, costante inequivocabile nella produzione di Pinna.
In pochi tratti essenziali, lo scultore anima i corpi di metallo o di corda intrecciata di una umanità manifesta, magica prepotenza del segno. L’agilità dell’artista imperiese nel fare senso vanta precedenti illustri: i corpi filiformi di Giacometti, le teste in cera di Medardo Rosso, l’essenza inequivocabile di un toro sbozzato da Picasso su vetro.
Nel duello fatale di rilievi e depressioni, Alex Pinna delinea la figura umana nella sua nuda semplicità; l’ostentata verticalità a estenuare il dato culturale su quello naturale e naturalmente orizzontale, gli scorci sulla migliore letteratura introspettiva, le cavità oculari perse in un orizzonte immaginario e immediatamente interiore, l’impostazione degli arti nell’eterea ricerca di un contatto o costretti nello sforzo di sostenere, sospendere, soccorrere.
Ecco perché i lavori di Pinna sono particolarmente adatti alla dimensione pubblica, cerco di spiegarmi facendo un paio di passi indietro. Alla tradizione delle icone russe risale il tentativo di colonizzare il mondo reale con quello ideale, ecco la pittura che sborda sulla cornice a dare continuità all’immagine al di fuori dell’immagine, ecco le prospettive inverse col punto di fuoco nel campo dell’osservatore a creare una geometria estroflessa. Il discorso si prolunga nei secoli della modernità, si vedano, per evocare un modello lampante, le architetture immersive di Masolino da Panicale nella Cappella di San Giovanni Battista alla Collegiata di Castiglione Olona o lo sguardo calamitante di tanta ritrattistica rinascimentale.
In quest’impulso a contenere lo spazio reale, la scultura riesce sfacciatamente dove la pittura riesce idealmente, è la natura stessa della scultura a imporle una vita nello spazio al di fuori di sé.
Nella sua Relatività generale, Einstein descrive come la massa di un corpo distorca lo spazio-tempo. Adattando il modello astrofisico al campo della scultura, l’opera plastica sa creare nello spazio attorno ad essa lo stesso tipo di distorsione non ovviamente fisica, ma culturale, emotiva. In quanto sculture, i lavori di Pinna attuano la loro personale relatività ma la potenziano esponenzialmente grazie al flusso di significanti immediatamente leggibili e capaci di interloquire e di coinvolgere nel proprio vortice introflessivo non solo l’osservatore ma anche il passante, il pedone.
La scelta dei materiali non esula dall’economia del programma di Pinna; la scelta del bronzo, della corda e, presenza inedita a Catanzaro, il vetro, denunciano una continuità con la tradizione artistica e con la dimensione artigianale, aprendo scorci a un retroterra di appartenenza regionale.
Chi scrive non spera in un esausto e impossibile ritorno all’ordine: sono fermamente convinto sia necessaria una radicale critica all’ordine costituito, ferma è altresì la convinzione sulla coesistenza armonica della varietà, et et più che aut aut. Alex Pinna non è la risposta, può rappresentare però una risposta sensata all’esigenza di tornare a fare arte al di fuori della sciocca provocazione spicciola o della pura speculazione economica.
A sostenere il lavoro di Pinna nelle quattro installazioni cittadine e nella piccola antologica Ti guardo, mi guardo alla Fondazione Rotella, curata da Marco Meneguzzo, la Fondazione Guglielmo, attrice sorprendentemente attiva in una realtà, quella calabrese e catanzarese, troppo facilmente definibile remota. Ebbene, nonostante le volontà e le apparenze, la piccola città ritirata sui tre colli può avvalersi di un organico di tutto rispetto: il Marca, buon esempio di ripristino urbano a basso impatto dignitosamente e attentamente riallestito, la Fondazione Mimmo Rotella arroccata nella casa natia dell’artista e lo Scolacium, un parco di sculture degno di una grande città mitteleuropea. Ultima arrivata, la Fondazione Guglielmo, creatura dell’omonimo notaio Rocco Guglielmo, costituisce un ottimo esempio di come le cose si possano fare da italiani, con passione per la bellezza, immaginazione e coraggio, senza farle all’italiana, ovvero sperperando dimenticandosene. Evviva i privati.
La fondazione, eterea nella sede ma granitica nelle intenzioni, segue quel modello di contaminazione che, senza il peso gravoso di una sede fisica, va ad aggredire spazi già esistenti e dalle potenzialità magari non pienamente espresse. È il caso della sua mostra inaugurale, La Costante Cosmologica, a cura di Gianluca Marziani, che ha colonizzato la sede del quattrocentesco Complesso del San Giovanni nel cuore di Catanzaro.
Luca Labanca
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Pinna a Teramo
Catanzaro // fino al 25 febbraio 2012
Alex Pinna – Ti guardo, mi guardo
a cura di Marco Meneguzzo
Catalogo Prearo Editore
FONDAZIONE MIMMO ROTELLA
Vico delle Onde 7
328 1243333
[email protected]
www.fondazioneroccoguglielmo.it
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