“È semplicemente inedito aggiungere un criterio di scelta che non dovrebbe esserci più, quello di genere”. Esordiva così Camille Monroe, curatrice di Elles@Centre Pompidou nel catalogo dell’esposizione tutta al femminile tenutasi nel 2009 a Parigi. Non aveva torto, e la singolare mostra riscosse un incredibile successo. Le opere delle artiste selezionate erano già presenti nel museo, ma non erano mai state radunate tutte insieme. Passare così dalle sperimentazioni a mano armata di Niki de Saint Phalle alle indagini fotografiche di Sophie Calle è stata un’emozione. L’unico rammarico alla fine del percorso espositivo è stato notare che le designer donne si contavano sulle dita di una mano e, oltre alle francesi Charlotte Perriand e Matali Crasset, erano presenti solo Cini Boeri e Gae Aulenti.
Il disegno industriale è una professione che è stata associata per lungo tempo, dato il forte legame con la tecnica, all’abilità maschile, come l’architettura. Ed è difficile trovare progettiste e protagoniste donne.
In campo artistico, le donne hanno già pienamente affermato le loro doti con installazioni, videoarte e performance, e la loro emotività e sensibilità sono sempre state considerate un valore aggiunto. Dunque perché in campo costruttivo le progettiste sembrano non essere ancora considerate alla stregua degli uomini?
Se però si osserva con attenzione il percorso che hanno compiuto le prime archi-designer, poiché allora le due professioni non erano distinte, comprendiamo che forse una netta separazione di genere in fondo non c’è mai stata.
Pensiamo a Charlotte Perriand, nome a lungo rimasto in ombra di fianco a un più risonante Le Corbusier. A soli 24 anni, Perriand iniziò il suo rapporto lavorativo decennale con il mito dell’architettura del Novecento e insieme a lui, in un primo momento, e da sola, negli anni successivi, progettò e produsse alcuni componenti di arredo che costituiscono la storia del design e sono tutt’ora in produzione presso aziende come Cassina. Spostiamoci in Italia e parliamo di Cini Boeri, anche lei, come la Perriand, architetto e designer che si è affermata prima al fianco di grandi maestri, in questo caso Marco Zanuso e Giò Ponti, e poi singolarmente fino all’apertura del suo studio negli anni ‘60. Suoi molti oggetti ormai classici di grandi marchi come Artemide, Flos, Artflex.
Non dimentichiamo, giusto per restare ancora nelle indicazioni di quella mostra parigina di tre annifa, Gae Aulenti. Anche lei come Boeri laureata al Politecnico di Milano: spazia con agilità dalla scala urbana al singolo oggetto di arredo, sentendosi sempre a proprio agio in un mondo prettamente maschile negli anni centrali della sua carriera.
Dopo il secolo in le designer hanno dovuto fare da precorritrici, arriviamo ai giorni nostri. Patricia Urquiola è sicuramente la designer del momento (e lo è da alcuni anni): internazionale, spagnola di origine ma italiana di acquisizione, con eleganza e uno stile posato riesce a progettare davvero di tutto, dai sanitari per Agape ai divani per Moroso, B&B; dagli interni di spa e hotel di lusso fino all’allestimento della recente mostra sul tempo in Triennale. A portare avanti la tradizione francese ci pensa Matali Crasset: con un look da fare invidia a qualsiasi nerd, progetta oggetti dalle forme semplici, ma spesso in movimento, sempre colorati; ha conquistato così editori come Moustache e aziende del calibro di Campeggi e Alessi. Sempre tra le designer internazionali non dimentichiamo Inga Sempé, francese, e il quartetto delle svedesi Front.
Tra le designer più note in Italia, e dotate comunque di respiro internazionale, Paola Navone, che nonostante la lunga carriera continua a progettare quotidianamente circondandosi da giovani e volenterose leve. Scendendo solo un poco di fama troviamo molti nomi al femminile, ad esempio le italiane Miriam Mirri, Laura Fiaschi (Gumdesign), Donata Paruccini e Ilaria Marelli.
I nomi del gentil sesso non rimangono legati esclusivamente al disegno del prodotto, ma lo accompagnano in tutte le sue fasi, dall’ideazione alla realizzazione. Molti sono infatti i ruoli ricoperti da donne all’interno delle aziende del mobile. E poi, in questo nostro atlante delle quote rosa del designworld non si possono non citare la direttrice del dipartimento di design del MoMA, Paola Antonelli, e quella del Triennale Design Museum, Silvana Annichiarico.
Ma la storia non finisce qui. Tanti sono i nomi delle esordienti che iniziano a costruire prototipi in prima persona, con taglierino e martello alla mano, incuranti del fatto che la tecnica spetti, secondo i luoghi comuni, ai maschi. Tantissime sono le elles che fanno parte del mondo del design, ed sarebbe doveroso citarne il più possibile per far comprendere che la schiera è ricca e che ad oggi il Pompidou lo si riempirebbe tutto, a pieno titolo.
Appurato che il design non ha sesso, rimane il luogo comune da sfatare nella quotidianità. Le progettiste devono continuare a fare ciò che sanno con curiosità e perizia tecnica. Gli scettici devono semplicemente aprire gli occhi.
Valia Barriello
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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