Il futuro anteriore dell’etnografia
Ispirandosi al documentario di Werner Herzog “The Wild Blue Yonder” e al “Martian Museum of Terrestrial Art” allestito nel 2008 alla Barbican Art Gallery, il Nouveau Musée di Montecarlo continua a proporre crossover tra arte, etnografia e scienza. In questo caso, fantascienza. Fino al 3 aprile.
Esiste un vasto, articolato immaginario attorno al Principato di Monaco. L’edificio di Villa Paloma, un candido buen ritiro milionario immerso tra giardini “all’antica” e affacciato sulla baia, vi aderisce perfettamente. Tuttavia, da quando nel 2010 vi fu inaugurato il distaccamento dedicato ad Arte e Territorio del Nouveau Musée National, il contenuto dell’involucro divenne piacevolmente straniante in una sequenza di esposizioni ricercate, dove la ricerca è da intendersi sia in ambito artistico sia scientifico.
Non è casuale che Marc Augé abbia scritto un testo: il concept di Le Silence. Une fiction, dove fiction potrebbe essere una contrazione di science fiction, attinge alla stessa ipotesi a proposito della sorte dei manufatti umani dopo l’uomo esplorata da pubblicazioni scientifiche come “The world without us” o videogame come Bioshock, oppure dalla stessa NASA che inviò nello spazio il Voyager Golden Record, résumé della cultura terrestre ad uso di eventuali altre forme di vita.
Quali saranno i reperti a disposizione di un etnografo o di un antropologo che tornasse su una Terra abbandonata a seguito di una definitiva apocalisse? Correttamente, non s’intende fornire il responso “certo”, congetturale e al futuro anteriore, ma piuttosto costruirvi attorno un paesaggio narrativo di opere d’arte che il visitatore potrà annodare a piacimento (come del resto ha fatto il critico Chris Sharp che, per il catalogo, invece di un testo ha prodotto una short story). Things that death can not destroy: le “lanterne magiche” di Linda Fregni Nagler, incubatrici di strutture architettoniche, fenomeni elettrostatici ed esempi di aviofauna forniscono con la loro ricorrenza il carattere di fil rouge allo spleen, alla nostalgia dell’umano e del naturale che è trasversale a molta fantascienza distopica. La mostra si articola in “capitoli”, uno per ogni piano della villa: il primo centrato sul paesaggio antropizzato, il secondo sulle forme di vita e l’ultimo sulla natura.
Ogni narrazione necessita un’ambientazione. Le torri sfocate e sinistre di Hiroshi Sugimoto come l’archeologia postindustriale del pluripremiato reportage sulle rovine di Detroit di Yves Marchand & Romain Meffre o il tutto-verde senza soluzioni di continuità delle foreste di Another green world di David Gustav Cramer (giustapposto a una scultura arborea di Rudolf Polanszky in una delle sale più suggestive) sembrano perfette per racchiudere fossili, documenti, archivi.
La categoria del fossile si declina nella Poubelle di Arman, un “blocco d’ambra” in poliestere con rifiuti, oppure nel picnic mummificato da Daniel Spoerri in Tableau Piège. Esistono anche fossili viventi, così sono le opere di Michel Blazy, affascinanti sculture in progress che sfruttano le mutazioni autogene del deperibile (micro)organico: una piramide di bucce d’arancia diventa una cattedrale di muffe (non dissimile ai lavori di Peter Buggenhout) capace di generare falene dopo essere stata coperta da una teca; oppure si scopre che forme pseudo-coralline sono state tracciate da zampe di ratti su superfici appositamente coperte di creme e gelati.
Si capisce di aver oltrepassato il confine italiano a Ventimiglia a causa della apprezzabile dose di sense of humor: i documenti, sicuramente ambitissimi dall’ipotetico antropologo del futuro, sono quasi sempre contraffatti. Così i manufatti/objet trouvé di una curiosa tribù russa che costruisce pale-stampelle e mitragliatrici-giocattolo nell’opera di pura etnografia dada di Vladimir Archipov. Ugualmente è palesemente dadaista (fin dal titolo e dalla tecnica, il fotomontaggio) il progetto Tueur de monde di Adrien Missika.
Il gioco si fa più serio quando si tratta di archiviare, di catalogare a futura memoria le infinite e infinitesime varianti del creato. Lourdes Castro ha brevettato una tecnica eliografica per cui, grazie a una successiva applicazione di reagenti chimici, è possibile catturare l’ombra, l’istantanea dell’attimo in cui un esemplare vegetale si è poggiato sopra un foglio. Ne scaturisce un erbario spettrale dell’intera flora di Madeira, dove l’artista vive, che copre i muri della sala secondo la logica prossima a quella della Wunderkammer che (dovrebbe) informare metà del criterio di allestimento contemporaneo. Anche Karl Blossfeldt e Brassai, vari decenni prima, concentrarono il pionierismo fotografico sulle forme vegetali e, significativamente, sull’acanto dell’Art Nouveau, ponte formale tra natura e manufatto. Come la flora, così la fauna: gli uccelli reali (viventi o estinti) catalogati da Jochen Lempert e il possibile Larry’s bird di Michael E. Smith.
Si sa che la potenza della natura si manifesta in ugual misura nelle piccole e grandi cose, nel calibro come nella devastazione. Non soltanto “il Sublime contemporaneo, nutrito dello spettacolo dei disastri naturali e dei collassi economici” è l’orizzonte estetico dell’esposizione, ma è significativo notare che tutte le videoinstallazioni si riferiscono a fenomeni sconfinati e meravigliosi: le fasi lunari, l’aurora boreale, le eruzioni vulcaniche.
Alessandro Ronchi
Monaco // fino al 3 aprile 2012
Le Silence. Une fiction
a cura di Simone Menegoi e Cristiano Raimondi
NMNM – NOUVEAU MUSÉE NATIONAL DE MONACO
56 boulevard du Jardin Exotique
+377 98984860
[email protected]
www.nmnm.mc
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