L’era delle mostre piglia-tutto. Dopo Hirst, Gilbert & George
Giovedì 8 marzo, la sera della preview a Londra. Gilbert & George sono gli ospiti ufficiali di London Pictures, in piedi nella sala grande della South Gallery di White Cube, ad accogliere i visitatori, come a un party. Vestiti come sempre allo stesso modo - non uguali ma allo stesso modo -, indossano un abito in tweed a trama fitta sui toni dell’ocra: per Gilbert virato sul giallo, per George sull’arancio. Cravatta e camicia, sì, sono uguali.
Gilbert & George si muovono all’unisono: al voltarsi dell’uno verso qualcuno o qualcosa, l’altro segue, disponendosi di conseguenza, con discrezione. A breve distanza o più vicino, le “rotazioni” spaziali avvengono in un cerchio immaginario di due metri al massimo. I volti sempre cordiali ma impassibili, i livelli di attenzione altissimi, come da radar invisibili (dal momento che l’espressione nulla lascia trapelare). Niente è per caso. È noto da sempre che Gilbert & George nel 1974 si sono auto-proclamati opera d’arte essi stessi, in qualità di sculture viventi.
Seduta sulla panca di fronte, dopo il primo giro di visita, quello di “ascolto generale” delle cose, ho sostato per guardarli: l’opera nell’opera è un’occasione unica. Né mi son data un tempo, la scena cambiava continuamente: restavano soli, arrivavano persone che conoscevano (e lì forse sfuggiva un sorriso meno controllato) oppure interagivano con chi gli chiedeva autografi o foto. Quando mi sono avvicinata, il primo a tenermi d’occhio è stato Gilbert, il suo “controllo” arrivava già da lontano. George sembrava affidare a lui la regia. In uno sguardo d’intesa mi ha annuito abbassando leggermente lo sguardo, come per una concessione regale, preziosa. Mentre aspettavo il momento per “entrare nel cerchio”, Gilbert l’aveva già trovato, mi aveva fatto spazio tra la gente alla sua destra, aveva mandato il segnale di disposizione a George ed eccoli lì magicamente in posa per me.
Come fa a non venir mossa una foto così? Ancora a chiedermi perché, quando serve, non esco con la reflex digitale. Quella non avrebbe tradito l’emozione. Non è vero, lo so: pesa a portarla in giro.
London Pictures è la “sublimazione” del tabloid verso i suoi significati più profondi, composto a ripetizione sottovetro in pannelli giganti. Ogni pannello porta in basso a destra un “marchio di garanzia”: il ritratto della regina a mo’ di francobollo istituzionale, per questo rassicurante. Celebrazione dello Jubilee Diamond, il ritratto non è mai lo stesso: come ripreso dalle monete distribuite negli anni, invecchia nel tempo.
3712 titoli di giornale, raccolti per anni tra le edicole di Liverpool Street, composti su 292 immagini a illustrare quello che gli artisti definiscono il “sistema nervoso” di Londra: impulsi, istinto, i suoi tic, morte e derive esistenziali.
La tecnica è “semplice”: il titolo campeggia – in rosso – su una immagine in bianco e nero delle strade di Londra. I volti – in color carne – o le figure stesse di Gilbert & George compaiono ritagliate o sfumate, come spiriti e fantasmi, tra quelle strade: “Noi siamo nelle foto per dire a chi ci guarda che nessuno escluso, siamo tutti complici in quel che abbiamo fatto del mondo”.
Il concept dell’opera (questa volta) è razionale, matriciale, quasi matematico. Tuttavia, non è possibile comprenderlo immediatamente, perché il bombardamento della ripetizione in serie, di immagini apparentemente simili tra loro, produce più un effetto mulinello centripeto che la condizione adatta per una riflessione. Che arriva dopo.
Ognuno parte da dove il “colpo” gli è arrivato prima. Catturata dalla città “distorta”, ho “visto” i titoli solo in seconda battuta, sebbene grandi, grossi e rossi.
Sotto i titoli c’è la città, e la luce onomatopeica della White Cube non basta a rischiarare il “dark” di quelle strade, i vicoli, e gli edifici tanto intensi per quanto anonimi. C’è uno sforzo da fare per attraversare i titoli ed entrare nelle immagini; fatto una volta, dopo si vedono solo quelle, ed è come camminare di notte nei recessi più lontani della Londra derelitta. Un viaggio dickensiano contemporaneo, come gli stessi G&G dichiarano.
Catalogo degli orrori dell’esistenza umana, nella sua routine di miseria e squallore, il titolo serve a dare franchezza e immediatezza al tema della notizia, arriva senza sensazionalismi, dà il fatto per come è.
Sembra una lettura della società moderna tutta al negativo, invece G&G invitano a uno sguardo alternativo: la celebrazione della libertà. Una libertà estesa verso il basso, verso gli istinti peggiori, ma comunque libertà, se si pensa che ci sono luoghi in cui la censura è tale per cui alcune parole non è possibile nemmeno pronunciarle, figurarsi vederle scritte pubblicamente. Sporco, miseria, vergogna e infelicità servono a questa celebrazione. E servono alla rivoluzione morale in cui Gilbert & George sono impegnati da sempre sui fondamenti dell’esistenza: vita, morte, sesso, paura, speranza, violenza.
Arte con la parola, attraverso la selezione matematica di quella giusta fra 3712. L’opera è nelle immagini, l’arte è nell’abbinamento tra la foto, la notizia scelta e la parola che le viene abbinata. Dagli abbinamenti ogni foto crea se stessa come conseguenza del significato che le viene attribuito nella classificazione/catalogazione sua propria e, dopo, all’interno del pannello.
Gilbert & George descrivono le battute fotografiche come una ricerca del valore morale delle immagini stesse: scattate finché quella eloquenza non emerge fino a parlare. “Non usiamo le immagini fin quando non siamo certi di cosa esse significhino per noi”.
In London Pictures Londra grida dalla strada i suoi dolori nascosti. Gilbert & George vivono nell’East End da quarant’anni, insieme hanno vissuto lì ben prima che arrivasse il maquillage urbano di Spitalfields Market. Conoscono a fondo quelle strade, percorse di giorno e notte, a scoprire e sperimentare sensazioni e impressioni sempre diverse. Per loro la vera Londra “è” nell’Est. Intorno a Fourier Street, George ritrova la campionatura completa del bene e del male di quel “torrente infinito di umana esistenza” che è Londra.
Il nuovo spazio della White Cube a Bermondsey vive un altro momento importante, il terzo dall’inaugurazione. Prima di fare ancora un giro, Gilbert & George sono ancora lì, sculture viventi, ora con un bicchiere di cognac in mano. Color ocra, of course.
Emilia Antonia De Vivo
Londra // fino al 12 maggio 2012
Gilbert & George – London Pictures
WHITE CUBE
144-152 Bermondsey Street
25-26 Mason’s Yard
48 Hoxton Square
+44 (0)207 9305373
[email protected]
whitecube.com
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