Adolfo Wildt. Senza pace e senza bellezza
Una mostra strepitosa. Anzi no, perché non c’è “strepito” nelle sale che ospitano le opere di Adolfo Wildt. Solo le urla silenziose delle sue maschere addolorate, e sensazioni a fior di pelle nelle forme ossessivamente perfette. In un gioco di rimandi che ha radici profonde, tutte da scoprire. A Forlì, negli spazi dei Musei di San Domenico, fino al 17 giugno.
Poetico, inquieto e misterioso, coltissimo ed estremo, anche nel virtuosismo. Soprattutto estraneo alla propria contemporaneità, tanto da non essere capito e quindi dimenticato. Forse perché Adolfo Wildt (Milano, 1868-1931), pur nel suo essere scultore pienamente figurativo, esclude la natura, la disgrega in forme artificiali, in ritagli anatomici e meccanici, grazie a una lavorazione del marmo che lo fa sembrare avorio ma anche plastica, creando un effetto di smaterializzazione che ha alimentato una leggenda di maestria tecnica. Wildt è fuori dal suo tempo e certo più vicino al nostro, in un movimento di immaginazione di altri mondi che trova punti di tangenza addirittura nei film di fantascienza, da Guerre stellari ad Avatar. “È in quest’assenza di successione e consequenzialità, nello spessore di un tempo più complesso e profondo di quello lineare della tradizione, nell’intreccio di molteplicità del senso, che si rivela ora, al di là del moderno, la corrispondenza di Wildt con il contemporaneo” (dal saggio in catalogo di Paola Mola).
La mostra di Forlì – che senza dubbio sarà da ricordare tra le rassegne più significative degli ultimi anni – vuole rispondere a una scommessa, quella di rendere popolare uno degli artisti più sofisticati e aulici del secolo scorso, partendo da un eccezionale nucleo di opere raccolte grazie all’illuminato mecenatismo della famiglia Paulucci di Calboli e conservate in città. La bussola per portare a termine l’impresa è un altro riferimento altissimo della cultura europea del Novecento: Aby Warburg con la sua Mnemosyne, progetto ultimo di una vita di studi e ricerca d’avanguardia basata sull’accostamento sincronico di fotografie, riproduzioni, ritagli, disposti per analogie formali o contenutistiche. Nelle sale, così come nelle pagine del ricco catalogo, le sculture di Wildt stanno vicine a modelli greci e romani: all’Abacuc di Donatello e al gesso della Pietà Rondanini di Michelangelo, alle opere di Melotti e Fontana come a Bronzino, Canova, Dürer e Morandi, Bernini e Klimt, in un equilibrio di indagine sulle forme dell’arte. Degne di attenzione sono anche le fotografie vintage: strumento di lavoro e di comunicazione per Wildt, esigente nei tagli, nelle luci e nei fondi neri, esse esaltano le opere, trasformandole in icone inquietanti.
Accostamenti audaci, ma pertinenti. Rimandi a figure che tagliano trasversalmente tutta la storia dell’arte occidentale, ma che in questa mostra non sono mai casuali: anzi puntualissimi, diretti ed evidenti, dimostrazioni di un dialogo ininterrotto tra il classicismo reinterpretato di Wildt – che spesso torna sullo stesso soggetto con materiali diversi – e secoli di immagini del passato. Il confronto si dipana tra I Parlatori e la Maschera del dolore, tra Vir temporis acti e Madre adottiva, ancora tra Mussolini e Maria dà luce ai pargoli cristiani; e poi nei i numerosi disegni autografi, pienamente secessionisti e dai forti accenti simbolisti.
Una grande quantità di opere e soprattutto di sollecitazioni emotive e cerebrali fanno di questa esposizione un evento decisamente appagante, nella sua capacità di ricostruire con esattezza e lucidità una vita dedicata alla scultura.
Marta Santacatterina
Forlì // fino al 17 giugno 2012
Wildt. L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt
a cura di Fernando Mazzocca e Paola Mola
MUSEI DI SAN DOMENICO
Piazza Guido da Montefeltro
199 757515
[email protected]
www.mostrawildt.it
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