Confini di senso
Due mostre e due progetti speciali. Attraversando montagne e varcando frontiere. Soprattutto per “far mente locale” sul concetto di confine. Naturale, geografico, politico e sociale, il confine è il tema con cui apre la stagione 2012 del CeSAC di Caraglio. Dove le opere in mostra non rappresentano contorni, ma spazi indefiniti fatti di storie e persone, regole e negoziazioni. Tra committenti e partenariati oltralpe, a prendere forma è lo spazio del senso. Fino al 10 giugno.
Concepite nell’ambito di VIAPAC – Via per l’Arte Contemporanea, progetto di cooperazione transfrontaliera fra Italia e Francia promosso dalle regioni a cavallo tra i due Paesi, le mostre – a cura di a.titolo e Nadine Gomez-Passamar (Musée Gassendi-CAIRN di Digne-les-Bains) – intrecciano trame e orditi intorno all’idea di confine. Sono progetti densi che disegnano labirinti per perdersi e ritrovarsi.
Oltre al luogo comune con cui solitamente si pensa alla costellazione lessicale di parole come ‘limite’ e ‘frontiera’, il confine è anzitutto concetto mentale e ideologico. Interpretato nelle opere come spazio di dialogo, si configura come un territorio che richiede l’impiego di tutti sensi. Dove cioè il pubblico è spinto a percepire ciò che a volte c’è, ma semplicemente non si vede.
À travers la montagne è la prima esposizione che dispiega, come in un racconto, l’attraversamento del territorio alpino che separa, ma che al tempo stesso mette in contatto (per usare le l’espressione di Piero Zanini nel libro Significati del confine) le valli francesi e italiane. Sette i luoghi che scandiscono l’itinerario creato dagli artisti, e proprio secondo quell’idea di relazione senza frontiere tra natura e cultura, arte e scienza, paesaggio e memoria. Il lavoro di Joan Fontcuberta è sia un percorso in situ, disegnato fisicamente su alcune rocce della Riserva geologica di Haute-Provence, sia un cabinet de curiosités esposto negli spazi del Filatoio. Si tratta della scoperta paleontologica che documenterebbe l’esistenza di una specie di Idropiteco nelle Alpi di Digne; una creatura mezza uomo-mezza pesce ritrovata grazie alle ricerche di un sacerdote-geologo intorno al 1950. Tra verità e finzione, il confine di Fontcuberta è così lo spazio del malinteso.
Il duo Caretto-Spagna presenta l’esito di un workshop condotto nelle Alpi francesi. Un video-documentario e una raccolta d’immagini narrano il lungo processo Della trasformazione delle cose, titolo dell’operazione in divenire. A modificarsi sono così i materiali, in questo caso il gesso abbandonato e ricavato dalle cave locali, gli organismi e – in un orizzonte allargato di comunità possibili – anche le persone. Paul Armand Gette crea un itinerario artistico puntellando la valle con segni cari alla sua poetica. Si tratta di 0m, segno che ripetuto nove volte identifica luoghi precisi, l’inizio e la fine di uno sguardo.
Mentre le sagome di Richard Nonas disegnano un campo formato da oggetti disposti sul pavimento, che direttamente dalla natura paiono entrare nello spazio espositivo (documentati dal fotografo Bernard Plossu), Anne-James Chaton recupera scontrini e biglietti dimenticati per ritrarre le persone attraverso una serie di codici linguistici minimi. A ogni manifesto esposto corrisponde così un soggetto sotto forma di partitura in seguito letta o musicata.
Infine, un bivacco-vehicule costituisce la struttura del “girovague” Abraham Poincheval. Si tratta di un modulo abitabile rotante che ha attraversato le Alpi per arrivare nel cuneese con una raccolta di materiali naturali riadattati, racconti di un mondo alla rovescia.
Anche Mente locale, mostra nata dalla mediazione culturale attivata con un gruppo di cittadini invitati a farsi committenti in linea con il programma Nouveaux Commanditaires, approfondisce le declinazioni possibili del concetto di confine. Ti porto il mare di Alessandro Sciaraffa è il primo dono che l’arte può offrire a un territorio confinato nelle sue montagne. E costituisce una visione, come anche quelle di Marzia Migliora e Nello Russo. Mentre quella di Migliora è una vertigine ferma, una corda che da stazionaria si attiva creando un’oscillazione, la visione di Russo prende forma sulle pareti del Filatoio attraverso scritte anamorfiche. Entrambi gli artisti utilizzano la parola per fissare un luogo di confine in continuo movimento, trasformando così quel lembo di spazio in “casa”. Per proteggersi.
Politica, invece, è l’interpretazione del confine di Anna Scalfi Eghenter. Acqua come bene comune, proprietà pubblica e privata, o territori (come quello africano) da tracciare con dispositivi di misurazione, le sue installazioni sono strumenti di senso. Sono spazi della negoziazione, del dibattito aperto.
Due, in ultimo, i progetti speciali. Preghiere per volare di Enrico Tealdi, realizzato per l’ex Hotel Oriente nel centro di Caraglio, è una collezione vera e propria di raffinati disegni e dipinti che diventano oggetti della memoria. Depositati come in un tempo imprecisato, sono delicati fazzoletti densi di storia, polverosi e anneriti quanto pronti per essere riscritti. Hannes Egger, invece, mette in relazione due luoghi per denominazione identici, ma fisicamente agli antipodi. Punta Venezia è infatti il riferimento a Punta della Dogana ma anche all’omonima vetta del Monviso. E un gruppo di scalatori è impegnato nella colonizzazione di entrambi. Senza recinti.
Claudio Cravero
Caraglio // fino al 10 giugno 2012
à travers la montagne
a cura di a.titolo e Nadin Gomez-Passamar
Mente Locale
a cura di a.titolo
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