Santiago Addiction
Non ha la Biennale storica del Brasile né l’iperattività di un Paese che ha superato il baratro come l’Argentina. Ma si tratta comunque di un posto - stiamo parlando del Cile - che ha attraversato in maniera devastante il XX secolo. E la Storia ha lasciato un segno visibile su Santiago. Città da scoprire e riscoprire. Qui con l’ennesimo super-reportage di Artribune.
Santiago è una città che sorprende, e benché il New York Times l’abbia messa in cima alla classifica dei 41 luoghi da visitare nel 2011 (e la Lonely Planet l’abbia inclusa nella sua selezione 2012 come unica città sudamericana), la sua è una grazia che emerge poco a poco, in modo silenzioso; colpiscono subito alcune abitudini europee. Come ad esempio gustare un caffè nelle vie del centro, come calle Mosqueto, stradina che già aveva incantato lo scrittore Claudio Magris durante un suo viaggio in Cile e gli aveva ricordato, a ragione, “un po’ Trieste e un po’ Torino”.
La tradizione poetica nazionale si respira in molti angoli, come nel caffè letterario immerso nel verde del parco Bustamante tra le facciate colorate e il faro lontano della torre di Telefonica in piazza Italia, punto d’incontro per molte generazioni della vicenda politica e sociale. A pochi isolati dal caos di Baquedano si nasconde l’avenida Italia, epicentro del barrio più trendy della capitale, dove design, moda e gastronomia si sposano con l’atmosfera tranquilla dei suoi bassi edifici residenziali.
Come spesso accade, ad anticipare queste tendenze è l’insediamento di alcune piccole gallerie d’arte contemporanea cutting edge come Die Ecke nel 2005, Florencia Lowenthal nel 2007 (attualmente in fase di sospensione) e spazi sperimentali come Yono nel 2010. Sempre dal 2010, inoltre, è attivo, in una ex-panetteria di calle José Manuel Infante, il progetto Bloc, promosso da un gruppo di artisti già in carriera (Catalina Bauer, Rodrigo Canala, Rodrigo Galecio, Gerardo Pulido, Thomás Rivas), che offre l’opportunità ai più giovani di partecipare a corsi pratici di produzione artistica e discussioni teoriche, insieme all’organizzazione di mostre collettive, residenze e intercambi.
Seguendo la linea verde della metropolitana, si scende alla fermata Bellas Artes dove, oltre al Museo de Bellas Artes, al MAC – Museo de Arte Contemporáneo, allo storico Parque Forestal e al Cerro Santa Lucia (collina di fondazione della città), si trova la galleria Gonzalez y Gonzalez, collocata all’interno di un edificio Anni Trenta (El Barco) progettato da Sergio Larraín e nata, nel 2010, con l’intento di promuovere, sul mercato internazionale, artisti latino-americani di gran nome come Jota Castro o Tania Bruguera ed emergenti come Gianfranco Foschino, presentato nel 2011 al Padiglione IILA della Biennale di Venezia.
Solo pochi passi e ci si trova a discutere di arte e letteratura con Sergio Parra, direttore delle librerie Metales Pesados e dell’omonima casa editrice: nei suoi spazi, insieme alle proposte di narrativa e arte, si può visitare una piccola project room con mostre di artisti contemporanei. Proseguendo lungo calle Lastarria si incontra la piazzetta Mulato Gil de Castro, dove un grande murale di Roberto Matta introduce alle collezioni del MAVi – Museo de Artes Visuales.
Se volessimo divagare con un buon design cileno di abiti e accessori, bastarebbe salire le scale dell’elegante edificio che fa angolo, dove si riuniscono alcune boutique di tendenza; alla fine del corso, poi, si intravede il fianco del monumentale GAM – Centro Cultural Gabriela Mistral (performing art, danza, arti visive convivono all’interno) inaugurato nel 2010 dopo un imponente lavoro di ristrutturazione a opera dell’architetto cileno Cristián Fernandez e sede principale ad inizio 2012 del Stgo.aMil, il più grande festival di teatro e danza del Paese. L’edificio rappresenta qualcosa di emblematico per il popolo cileno: fu costruito nel ’72 durante il governo di Salvador Allende per accogliere la Terza Conferenza Mondiale del Commercio e dello Sviluppo delle Nazioni Unite, e in seguito destinato, per un breve periodo, al Ministero dell’Educazione, prima di essere stravolto nella sua identità e funzione dal governo militare che lo ribattezzò Diego Portales, utilizzandolo come sede del potere esecutivo e legislativo della dittatura; infine fu vittima di un terribile incendio nel 2006.
Alla fermata seguente ecco plaza des Armas: siamo nel cuore della città, dove si mescolano etnie e cucine a pochi passi dai famosi cafe con piernas e dal mercato centrale del pesce. In questo vivace contesto urbano sceglie di posizionare la sua seconda dimora la galleria Afa, che al suo attivo conta anche l’organizzazione della fiera nazionale Ch.ACO – Chile Arte Contemporáneo, alla sua quarta edizione.
Di tutto questo rumore ci si dimentica non appena si scende a Cummings, porta d’ingresso del vecchio quartiere popolare di Yungay, quasi deserto e decadente. Camminando per le stradine malmesse imbocchiamo calle Liberdad, che conduce in un piccolo corso dove malinconiche antiguedades dettano lo stile e la storica Peluqueria Francesa soddisfa ogni fantasia dei primi del XX secolo. L’insegna dell’epoca dice chiaramente che in quel salone si tagliavano i capelli a caballeros, mujeres y niños, nessuno escluso, e accanto il ristorante d’atmosfera Boulevard Lavaud accoglie nei suoi ambienti con deliziosi piatti di cucina francese. La maggior parte degli oggetti d’arredamento è in vendita e da qui a un anno saranno aperti al pubblico anche un almacen di prodotti gastronomici e un negozio di modernariato. Di fronte, un edificio totalmente squartato è in via di ristrutturazione per diventare il teatro del quartiere, un tassello in più per accrescere il prestigio culturale dell’area. Yungay è un perimetro costituito da antiche facciate da preservare dall’usura del tempo (simili all’adiacente Barrio Brasil) e di progetti sociali come la Huerta Yungay, un orto pubblico dove apprendere le tecniche di coltivazione e rendere ipotizzabile un tipo di vita collettiva sostenibile.
Ancora un passo in direzione ovest ed ecco la Quinta Normal con il Museo della Memoria e dei Diritti Umani, inaugurato nel gennaio del 2010 con un progetto di un’équipe di architetti brasiliani: Mario Figueroa, Lucas Fehr e Carlos Dias. In questo tempio sacro della storia – dove campeggia un grande lavoro di Alfredo Jaar, l’artista che rappresenterà il Cile alla prossima Biennale di Venezia – sono ben intuibili le ferite ancora aperte dalla dittatura militare di Pinochet che, tra il 1973 e il 1989, ha trasformato il Cile in un Paese strutturato rispetto ad alcuni vicini, ma profondamente manomesso dal punto di vista delle libertà d’espressione. Sulla grande arteria che dal museo conduce alla stazione centrale c’è uno dei centri culturali più sperimentali della capitale. Si chiama Matucana 100 ed è sede di spettacoli, mostre e concerti.
Se poi durante il nostro tour per la capitale cilena decidessimo di invertire la marcia verso oriente scopriremmo che da plaza Italia (Baquedano) si accede a uno dei quartieri più gradevoli e vivaci della città, Providencia, dove uffici, abitazioni e attività commerciali si mescolano nuovamente in una ricetta tutta europea. Però, “ojo”, come direbbero qui. Perché le suggestioni sono anche di tutt’altra tipologia: c’è tutta una Santiago che forse colpisce meno la sensibilità, ma che è squisitamente nordamericana. I grattacieli de Las Condes, le ville chic di Vitacura, i giganteschi centri commerciali sono solo alcuni degli elementi urbani che ci ricordano dove siamo: nella sottile striscia di terra che si estende tra le acque dell’oceano Pacifico e le alte vette della cordigliera andina.
Eugenia Bertelè
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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