Bauhaus: la vita, l’arte, la bellezza
In mostra a Londra la straordinaria avventura del Bauhaus, scuola d’arte per eccellenza. Dalla fondazione alla chiusura, nel 1933, con l’arrivo del nazismo. Un percorso straordinario, che testimonia della sua estrema attualità. Al Barbican Center di Londra fino al 12 agosto.
Già nell’Ottocento, William Morris, con le sue Arts and Crafts, aveva cercato di portare la bellezza alle masse. Come Morris, anche Walter Gropius (Berlino, 1883 – Boston, 1969) pensa che l’industria non debba essere nemica dell’artista (o meglio, del progettista), ma sua alleata, e che il prodotto creato non deve essere privilegio dei pochi, ma accessibile a tutti. Ed è su queste basi che nel 1919 riorganizza l’Accademia delle Belle Arti e la Scuola di Arti Applicate di Weimar nel Bauhaus.
In questa “casa della costruzione”, teoria e pratica, arte e artigianato hanno un unico scopo: riscattare l’oggetto d’uso dall’appiattimento della produzione industriale. È la Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale. Nel Bauhaus non ci sono artisti ma artigiani, e non vi insegnano professori ma maestri di straordinario talento. Personaggi come Paul Klee, Wassily Kandinsky, Oskar Schlemmer, Laszlo Moholy-Nagy, Marcel Breuer e Gunta Stölzl, l’unica donna a insegnare alla scuola.
Tutto questo e molto di più in Bauhaus: Art as life, la più grande mostra dedicata alla scuola dal 1968. Un epico viaggio in quattrocento oggetti nella storia di questa rivoluzionaria istituzione nelle sue tre incarnazioni di Weimar, Dessau e Berlino. Organizzata in un approssimato ordine cronologico, la mostra curata da Catherine Ince e Lydia Yee si svolge sui due piani dello spazio cavernoso della Barbican Gallery. Uno spazio difficile per un soggetto altrettanto complesso.
Ciò che colpisce del Bauhaus è non solo la diversità della sua estetica, ma l’incredibile ricchezza delle sue discipline che, oltre a pittura e scultura, includono anche fotografia, teatro, danza, design, decorazione d’interni, tessuti e persino giocattoli per bambini e cartelloni pubblicitari.
Al piano superiore, dedicato alla prima fase della scuola, a Weimar, dipinti di Kandinsky vanno di pari passo con le marionette di Kurt Schmidt, i caratteri da stampa di Herbert Bayer o i servizi da tè e da caffè di Marianne Brandt (l’unica donna impegnata nella fabbricazione di oggetti in metallo), tutti esempi tipici della tipologia standardizzata prediletta da Gropius. Il piano inferiore è invece dedicato al Bauhaus di Dessau, dove la scuola si trasferisce nel 1925 nello splendido edificio progettato da Gropius stesso, una pietra miliare nella storia dell’architettura moderna. Qui studenti e maestri vivono e lavorano insieme: una vibrante comunità artistica, diversa per provenienza geografica e formazione culturale, impegnata in uno sforzo artistico senza precedenti. Curiosamente l’architettura, per cui il Bauhaus è famoso ovunque, non diventa parte del programma di studio fino al 1927, quando Hannes Meyer si unisce alla scuola.
Certo, come per tutti gli esperimenti, anche per il Bauhaus sorgono, inevitabili, i problemi: le grandi industrie tedesche non sono interessate alla nuova estetica e rifiutano di partecipare alla produzione di massa. Senza di loro, i prodotti usciti dai laboratori della scuola sono destinati a rimanere costosissime ed esclusive creazioni che solo pochi possono permettersi. E così, come Morris prima di lui, anche Gropius non riesce a portare la bellezza alle masse.
È un tempo difficile quello tra le due guerre per la Germania, in balìa degli effetti della Grande Depressione e di una lunga instabilità politica. Ma neanche l’atmosfera pesante che si respira negli anni della Repubblica di Weimar sembrano intaccare l’umorismo e l’entusiasmo dei membri del Bauhaus. Nel pensiero di Gropius, il gioco è una parte importante della vita artistica della scuola, e le brillanti fotografie di Lucia Moholy e Joseph Albers aprono una spassosa finestra sulle abitudini, hobby, vestiario e amicizie di studenti e insegnanti, catturandone i preziosi e fugaci momenti di intimità.
L’ascesa al potere di Hitler è per il Bauhaus l’inizio della fine. Nonostante l’approccio apolitico tenuto da Ludwig Mies van der Rohe, il direttore in quell’ultimo, terribile anno a Berlino, la scuola diventa il bersaglio della stampa nazionalsocialista e della Gestapo, che chiude la sede per tre mesi, nel 1933. Privato di fondi, gli insegnanti accusati di bolscevismo, il Bauhaus non riaprirà mai più.
Tanto è successo e tanto in fretta nella storia del Bauhaus che si stenta a credere che tutto ciò sia accaduto in soli quattordici anni. Ed è proprio questa incredibile ricchezza di eventi (e di intenti) che rende ancora più evidente la mancanza di una conclusione nella parte finale della mostra, di una valutazione della straordinaria eredità lasciata dal Bauhaus nell’architettura, nell’arte e nel design di oggi. Ma questa è l’unica nota negativa in un viaggio altrimenti molto approfondito ed estremamente appassionante.
Paola Cacciari
Londra // fino al 12 agosto 2012
Bauhaus: Art as Life
BARBICAN ART GALLERY
Silk Street
+44 0845 1207550
www.barbican.org.uk/artgallery
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