La distanza della similitudine
All'Hangar Bicocca, Wilfredo Prieto e i Kabakov allestiscono una mostra sulla potenza dell'analogia. Mentre l'artista cubano rilegge metafore dal cuore urbano, la coppia di artisti ucraini addomestica l'iconografia idolatra del Cinema. A Milano, fino al 2 settembre.
Nella seconda parte dell’Hangar Bicocca, ai piedi delle torri di Kiefer, Wilfredo Prieto (Zaza del Medio, 1978; vive a L’Havana e New York) e Ilya ed Emilia Kabakov respirano l’ombra e la stasi della messa in scena. L’artista cubano, alla sua prima grande retrospettiva mai organizzata in uno spazio istituzionale, adatta al titolo Equilibrando la curva sette installazioni dalla statura, in prevalenza, monumentale. La narrazione formale di Prieto, nonostante le proporzioni dei lavori, s’innesta con precisa gravità all’interno di poche figure di pensiero, sposando come un effetto l’esattezza metaforica del linguaggio corrente. In Prieto ogni cambio di scala determina scarti visivi e intersezioni di senso che svelano la chiave di lettura di ciascun progetto in mostra.
Ne è un esempio la montagna di paglia all’inizio del percorso, volume figurativo che attiva la dichiarazione di poetica sotto forma di monito; dissimulando cioè la ricerca del ben noto ago come dettaglio assoluto dalla natura introvabile. Poco distante, l’installazione che conferisce il titolo all’intera mostra si compone di un autobus, parcheggiato in curva e dunque in posa di obliqua instabilità. Prieto, per controbilanciare la reazione avversa e contraria delle forze in gioco, inserisce sotto gli pneumatici alcune monetine, simboli e sintomi dell’intera economia globale.
A qualche metro di distanza, dopo esser passati sotto sette chilometri di filo spinato, sospeso come una nuvola d’acciaio (Nebulosa, 2009), ci si trova davanti all’opera più eloquente di questa retrospettiva: Monumento, progetto prodotto site specific e allestito solamente per l’Hangar. Qui Prieto inculca nella materia i meccanismi (umani) della sua trasformazione, bloccando, in un moto circolare, le ruote posteriori di una betoniera, intrappolata da un consistente mucchio di cemento appena fuoriuscito.
Di rimpetto, sebbene Avalancha (2003) attiri l’attenzione per i colori e le forme che danno vita a un crescendo sferico dalle proporzioni scalari, le tende rosse di The Happiest Man di Ilya ed Emilia Kabakov (Dnipropetrovs’k, 1933 e 1945; vivono a New York) invitano all’ingresso al Cubo. Al di là delle cortine di velluto, infatti, un cinema in dimensione reale proietta spezzoni di pellicole d’epoca contro le pareti in cemento armato. Al centro della sala, infine, un soggiorno perfettamente arredato ricorda che l’uomo più felice è lo spettatore che trova casa ritagliando la propria vita dall’immensità simulata della rappresentazione.
Ginevra Bria
Milano // fino al 2 settembre 2012
Ilya e Emilia Kabakov – The Happiest Man
a cura di Chiara Bertola
Wilfredo Prieto – Equilibrando la curva
a cura di Andrea Lissoni
HANGAR BICOCCA
Via Chiese 2
02 66111573
[email protected]
www.hangarbicocca.org
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