Lux – et tenebrae – in arcana
Un'ampia selezione di documenti lascia per la prima volta l'Archivio Segreto Vaticano ed è esposta, fino al 9 settembre, ai Musei Capitolini, negli appartamenti storici del Palazzo dei Conservatori. Alla rassegna è dedicato il terzo appuntamento della rubrica curata dall’Osservatorio Mostre e Musei della Scuola Normale.
Raramente capita di imbattersi in una mostra dal bilancio tanto contrastato quale è quello di Lux in arcana. Ad aspetti molto positivi, che consistono nell’eccezionale interesse dei pezzi esposti e nella particolare attenzione riservata alla comunicazione, si contrappongono, con pari forza, tenebrae dense, che discendono dalla decisione di allestire una mostra di ampie dimensioni come questa all’interno di ambienti di altissimo valore storico e artistico, di per sé assolutamente “autosufficienti”, quali sono le sale del Palazzo dei Conservatori.
Ci si avvicina alla mostra leggermente prevenuti, per il marketing aggressivo che strizza l’occhio – nel titolo, nella grafica, nelle immagini utilizzate – a Dan Brown e ai vari Giacobbo. Ma, appurato che si tratta di una rassegna “di sostanza”, si perdonano volentieri certe astuzie.
Più difficile è giustificare quello che si vede salendo le scale che portano al primo piano del palazzo: i rilievi murati alle pareti, provenienti da un arco di trionfo dell’età di Marco Aurelio, sono ridotti a sfondo per proiezioni luminose. Primo schiaffo della mostra al museo, dell’effimero al permanente; e non è niente rispetto a quello che si vede in seguito. Entrati nel magnifico Salone degli Orazi e dei Curiazi, infatti, lo si trova completamente invaso dalle strutture dell’allestimento. L’illuminazione inoltre è molto bassa, per creare un’atmosfera “arcana” e perché i delicati documenti non ne tollererebbero una più forte. Risultato: uno dei più significativi ambienti del tardomanierismo romano di fatto scompare.
L’apertura a effetto è riservata agli atti del processo a Galileo Galilei. La scelta è stata suggerita dal fatto che, appena entrati nel salone, si incontra sulla destra la monumentale scultura berniniana che raffigura uno dei protagonisti di quelle vicende, papa Urbano VIII. L’abbinamento fra la teca con gli atti e la statua funziona, anche perché il papa di Bernini ha un’espressione severa e un gesto imperioso, più di condanna che di benedizione, che nel contesto processuale ci stanno proprio bene. Vero è che la scultura è un po’ assediata dai pannelli e non può essere ammirata nel migliore dei modi; comunque Urbano se la passa molto meglio del suo successore. Di fronte a lui, infatti, all’altro capo della vasta sala, si erge l’Innocenzo X in bronzo di Algardi, capolavoro della statuaria seicentesca che è scandalosamente imprigionato dalle strutture provvisorie ed è del tutto nascosto alla vista, ad eccezione del capo del pontefice.
Tra Urbano VIII e Innocenzo X si dispiega l’allestimento, con i suoi inestimabili tesori documentari. A differenza di quanto avviene nelle sale successive, non si può individuare un chiaro criterio tematico nella scelta dei pezzi; l’intento sembra semplicemente quello di mostrare la straordinaria ricchezza e varietà, per epoche e aree geografiche, delle raccolte vaticane. E l’obiettivo è pienamente raggiunto: nelle teche si succedono pezzi stupefacenti, come la lettera dei parlamentari inglesi a Clemente VII del 13 luglio 1530, stracarica di impronte di sigilli in cera rossa, una missiva su seta di Elena di Cina a Innocenzo X (il “sequestrato” di cui sopra), una lettera degli indiani Ojibwe a Leone XIII, scritta su corteccia di betulla, un diploma con sigillo d’oro di Federico Barbarossa, una lettera del califfo Abu Hafs ‘Umar al-Murtada a Innocenzo IV, la bolla Inter cetera di Alessandro VI riguardante la spartizione del mondo tra Spagna e Portogallo. Insomma, ne emerge la Ecclesia universalis, al centro delle vicende storiche e politiche mondiali, irraggiata su tutte le terre conosciute, quasi in una riedizione degli affreschi di certe basiliche barocche.
Non meno sorprendente è l’apparato informativo di cui è corredato ciascun documento. In italiano e in inglese, consta di una parte più tradizionale, fissa, che è impressa sulle strutture dell’allestimento e nella quale sono riportate le informazioni fondamentali sul pezzo, e di una parte che scorre su schermi affiancati ai tesori d’archivio. Nella porzione superiore di ciascun schermo compare una descrizione sintetica del documento, destinata a chi vuole un’informazione più basilare; in quella inferiore si succedono diverse schermate, in cui sono riportate notizie più approfondite, che dal testo spaziano alla situazione storica in cui il documento fu redatto e ai personaggi coinvolti. Il tutto con l’ausilio di belle immagini. Importante è inoltre la presenza di un timer che segnala lo scorrere della presentazione e ne indica la durata complessiva (che di solito è compresa tra i due e i quattro minuti per pezzo). Un apparato informativo di grande eleganza e chiarezza insieme, che è in grado di raccontare una storia sia a chi desidera un’informazione più rapida e a grandi linee, sia a chi vuole approfondire.
A differenza della meravigliosa varietas che caratterizza il salone d’avvio, nelle sale successive la disposizione dei documenti è guidata da un chiaro criterio tematico: ogni ambiente è dedicato a un argomento, dal rapporto tra la Chiesa e le istituzioni statali (Tiara e corona) alle grandi figure femminili (Sante, regine e cortigiane), alle relazioni con gli altri cristiani e le altre religioni (La riflessione e il dialogo). Il rapporto fra temporaneo e permanente è anche in questi ambienti problematico. Fa rabbia vedere un pezzo fondamentale non solo per la storia dell’arte ma per l’intera cultura occidentale, come lo Spinario, ridotto a elemento d’arredo di un ambiente del quale altri sono divenuti protagonisti. E, poco dopo, si cerca invano la Lupa nella sala cui la scultura dà il nome: ritenendola ingombrante, la si è sic et simpliciter trasferita nell’esedra del Marco Aurelio, dove rimarrà per tutta la durata della mostra.
Lux in arcana, tirando le somme, merita sicuramente una visita. Il problema di fondo del suo allestimento all’interno del Palazzo dei Conservatori non può tuttavia essere aggirato. Mostre del genere vanno organizzate altrove. Non solo perché organizzarle nelle antiche sale denuncia uno scarso rispetto nei confronti delle testimonianze del passato, ma anche e soprattutto perché palesa una considerazione ben poco generosa del pubblico, ritenuto tutto composto da “pecoroni”: senza negare che tanti lo siano, vi sarà pur qualcuno un po’ più consapevole, giunto magari dall’India o dal Brasile per godersi lo Spinario o gli affreschi del Cavalier d’Arpino nel Salone degli Orazi e dei Curiazi. Cosa bisogna dire a questi visitatori? “Ci dispiace, ripassate“?
Fabrizio Federici
Roma // fino al 9 settembre 2012
Lux in Arcana
a cura di Alessandra Gonzato, Marco Maiorino, Pier Paolo Piergentili, Gianni Venditti
MUSEI CAPITOLINI
Piazza del Campidoglio 1
06 0608
[email protected]
www.luxinarcana.org
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