L’età dell’oro vista dagli Uffizi
Il nuovo appuntamento con la rubrica di recensioni dell’Osservatorio Mostre e Musei della Scuola Normale prende in esame la mostra “Bagliori Dorati. Il Gotico Internazionale a Firenze, 1375-1440”, in corso agli Uffizi fino al 4 novembre. La rassegna, dedicata alla memoria del grande storico dell’arte Miklós Boskovits, è la diretta continuazione della mostra del 2008, tenutasi sempre agli Uffizi, intitolata “L’Eredità di Giotto. Arte a Firenze, 1340-1375”.
L’arte fiorentina a cavallo fra Tre e Quattrocento, in bilico tra fedeltà alla grande tradizione giottesca e aperture alle novità rinascimentali, racchiude in sé tutte le contraddizioni di un momento di passaggio ricchissimo di alti valori figurativi: improvvise accelerazioni innovatrici convivono con istanze conservatrici; i cantieri monumentali attivi in città offrono un’irripetibile occasione di confronto tra gli scultori; l’arrivo di Gentile da Fabriano dà nuova linfa vitale all’ambiente artistico sia sul piano formale che tecnico.
Queste le vicende raccontate dalla mostra, che comincia nella Galleria, dove le principali opere del periodo sono rimaste al loro posto, introdotte da un breve pannello e da cartellini che risultano peraltro meno esaurienti di quelli permanenti del museo. Straordinario è l’impatto visivo dell’Incoronazione della Vergine di Lorenzo Monaco per Santa Maria degli Angeli (1414), e dell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano (la pala Strozzi, 1423), ma anche dei pannelli del polittico Quaratesi dello stesso pittore marchigiano e della delicata Madonna dell’Umiltà di Masolino (al contrario, l’Adorazione dei Magi di Lorenzo Monaco è stata portata giù in mostra). Nella sala successiva fanno parte del percorso della mostra altri capolavori assoluti della collezione permanente come la Sant’Anna Metterza di Masaccio e Masolino, l’Incoronazione della Vergine e la Madonna di Pontassieve dell’Angelico, la pala di Santa Lucia de’ Magnoli di Domenico Veneziano.
La mostra vera e propria si apre al primo piano, alla fine del percorso museale. È questo un problema annoso che attanaglia le mostre degli Uffizi, nelle cui sale è costretta a passare tutta quella massa di turisti ormai stanchi e svogliati che hanno attraversato la Galleria e che finiscono per intralciare chi invece è venuto a vedere le esposizioni temporanee: si tratta, è vero, di una situazione provvisoria, ma che dura ormai da troppo tempo.
Appena entrati si è subito colpiti dall’allestimento tutto giocato sul contrasto tra il buio dell’ambiente e la brillantezza dei dipinti dal fondo oro, spesso eccezionalmente decorato e in grado di irradiare preziosi barbagli: la soluzione è certamente suggestiva, ma rischia di prevalere sulla corretta fruizione delle opere, senza contare che le didascalie e i pannelli illustrativi – comunque troppo brevi – in questo modo sono pressoché illeggibili.
La prima sala è dedicata ai pittori eredi della tradizione toscana trecentesca come Spinello Aretino, Agnolo Gaddi, Antonio Veneziano, Niccolò di Pietro Gerini. Di quest’ultimo è esposto il trittico di Vincigliata appena ricomposto dopo l’acquisto da parte dello Stato dei pannelli laterali, una bella vicenda che mostra il buon lavoro della Soprintendenza, in barba a quanti vorrebbero smantellare l’apparato pubblico della tutela!
Nelle sale successive sono esposti alcuni esempi della scultura fiorentina del secolo che volge al termine, sia per Orsanmichele, sia per il Duomo negli anni in cui ci si accingeva a realizzare la magnifica porta della Mandorla, vero e proprio punto di incontro di artisti di primissimo piano dell’arte fiorentina del primo decennio del nuovo secolo. Qui troppo in fretta è liquidato Gherardo Starnina, a dispetto dell’importanza cruciale che rivestì nel primo decennio del Quattrocento.
Proseguendo lungo il percorso è da notare la bella Annunciazione del Maestro della Madonna Straus, dalla Galleria dell’Accademia, la cui sagoma rettilinea prelude agli sviluppi che porteranno alla sostituzione dei polittici a più registri con cuspidi e pinnacoli con una nuova tipologia di pala d’altare di forma rettangolare (la “pala quadra all’antica”).
Cuore dell’esposizione è la sala che accoglie le tre enormi statue per Orsanmichele realizzate intorno al 1415: il San Pietro, opera eponima di un maestro probabilmente da identificare con Filippo Brunelleschi, il San Giovanni Battista bronzeo di Ghiberti, e il San Marco di Donatello, che si prestano bene a visualizzare le diverse tendenze interne dell’arte fiorentina. Accanto trovano posto importanti tavole come l’Annunciazione giovanile di Paolo Uccello in prestito dall’Ashmolean Museum di Oxford, l’Adorazione dei Magi degli Uffizi di Lorenzo Monaco, la pala per San Pietro Martire dell’Angelico.
Superate due salette di approfondimento – dedicata l’una alle Tebaidi (con il pannello del Beato Angelico da Budapest e la controversa replica degli Uffizi) e l’altra all’Annunciazione – e attraversata la sezione sull’oreficeria, la mostra prosegue in modo forse un po’ schematico con la presentazione di artisti che sono espressione della tendenza conservatrice ben dentro il Quattrocento, come Bicci di Lorenzo o il Maestro della Predella Sherman. A questi fanno da contraltare gli innovatori, in primis Gentile da Fabriano: le due Storie di San Nicola della Pinacoteca Vaticana facevano parte della predella del polittico Quaratesi per San Niccolò Oltrarno e si sarebbero dovute esporre in Galleria accanto ai pannelli laterali della stessa opera (o quantomeno si sarebbe potuto approntare una ricostruzione grafica dell’insieme, presente peraltro nel percorso del museo).
Molto bello, ancorché in cattivo stato di conservazione, il Ritratto di giovane dell’Alana Collection di New York, per cui si avanza il nome di Masaccio; spicca inoltre il San Giuliano di Masolino, laterale destro del polittico Carnesecchi di Santa Maria Maggiore.
Oltrepassate le sezioni di estremo interesse relative alla miniatura e all’arte profana, si giunge al confronto tra il Crocifisso ligneo di Michelozzo per la chiesa di San Niccolò Oltrarno (1435-1440) e quello del convento mugellano di Bosco ai Frati (San Pietro a Sieve), riferito alla tarda attività di Donatello verso il 1460 (ma forse andava sottolineato di più il ruolo di Desiderio da Settignano): si instaura però tra le due opere uno scarso dialogo, che non beneficia certo della presenza della tavola di Giovanni dal Ponte della chiesa di San Salvatore al Monte (datata 1434), posta in mezzo quasi come se fosse un arbitro di dubbia competenza.
La grande Battaglia di San Romano di Paolo Uccello degli Uffizi, appena restaurata, chiude il percorso della rassegna, e idealmente racchiude un’epoca: la prospettiva esasperata, la corposità piena dei corpi dei soldati e dei cavalli, la foga controllata dell’azione si sommano alle infinite sottigliezze descrittive, all’uso dell’oro in funzione decorativa, ai particolari magici e fantasiosi che rendono l’opera adatta a suggellare questo straordinario momento artistico.
Nel complesso la mostra presenta certamente motivi di interesse, ma non è in grado di offrire al visitatore una visione chiara del delicato passaggio dal mondo gotico a quello rinascimentale. L’apparato didattico aiuta poco e le opere rimaste, giustamente, nelle sale della Galleria non trovano adeguata eco in quelle della mostra, dove potevano essere richiamate con delle riproduzioni. Il rischio cioè è che capolavori assoluti della pittura tardogotica fiorentina vengano come dimenticati lungo il percorso dell’esposizione, quando invece ne costituiscono in più punti l’apice qualitativo.
Va sottolineato, tuttavia, che le opere radunate per l’occasione sono tutte di notevole tenuta qualitativa, con punte di eccezionale valore, e valgono ampiamente il prezzo del biglietto, la coda all’ingresso, la folla di passaggio, il buio delle sale.
Giovanni Giura
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