Gli antichi greci lo chiamavano pneuma, che sarebbe il soffio vitale, ovvero l’anima, lieve come il respiro, che ci fa esistere, percepire il mondo con i sensi, provare sentimenti, creare cose e pensieri. È un leggero soffio di vento ad accogliere ogni visitatore della dOCUMENTA (13), appena si entra nel Museum Fridericianum, luogo canonico e solitamente iniziale di un percorso lunghissimo, intenso sotto tutti i punti di vista.
I Need Some Meaning I Can Memorize (The Invisible Pull) è solo un alito di vento, un tocco leggero e vitale, invisibile, che attraversa e anima le grandi bianchissime sale del pianterreno, prive di oggetti. L’installazione è dell’artista inglese Ryan Gander, potente per la sua capacità di sfiorare tutti i visitatori, di essere imparziale, anche nei confronti di chi è disorientato dal bagliore vuoto delle sale e non percepisce, non subito almeno, quell’alito di vento. Che però c’è, e non è uniforme, dato che la corrente d’aria, nell’attraversare gli spazi, subisce imprevedibili cambiamenti, indice di rilievo di uno scorrere temporale, di un divenire difforme e differenziato…
Franco Veremondi
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