Due mostre per un museo. La Normale a Torino
La nuova recensione a cura dell’Osservatorio Mostre e Musei della Normale di Pisa si occupa di un dittico di rassegne torinesi, nel quale sono esposti molti gioielli della Sabauda “sotto sfratto”. Per vedere le mostre c’è tempo fino al 13 gennaio.
Grandi manovre per i musei torinesi: la Galleria Sabauda è stata sfrattata dal suo storico indirizzo al Collegio dei Nobili a causa della fame di spazio dell’inquilino del piano di sotto, il Museo Egizio. La vecchia sede ha chiuso i battenti il 18 marzo 2012, con uno strascico polemico a causa delle precarie condizioni della opere, per mesi in balìa di un sistema di condizionamento guasto. Ma non c’è stato tempo o voglia per approfondire la questione, l’evento riparatore era alle porte: la mostra I quadri del re, composta da due esposizioni in sedi distinte. La prima, dal titolo Una quadreria alla Reggia: le raccolte del Principe Eugenio, alla Reggia di Venaria; la seconda, intitolata Torino, Europa. Le grandi opere d’arte della Galleria Sabauda, nella Manica Nuova di Palazzo Reale di Torino, che diventerà la nuova sede della Galleria. Due esposizioni per un museo, ma di opposto approccio critico.
La mostra alla Venaria è curata dall’ex soprintendente ai Beni Artistici del Piemonte Carla Enrica Spantigati, e per rigore scientifico rappresenta quasi un’eccezione nel programma di eventi della Reggia. L’esposizione è centrata sulla collezione del Principe Eugenio di Savoia-Soisson (1663-1736), celebre condottiero al servizio dell’Impero austriaco. La raccolta fu acquisita quasi nella sua interezza da Carlo Emanuele III di Savoia nel 1741 e da allora, se si eccettua il periodo napoleonico, è sempre rimasta a Torino, fino a formare uno dei nuclei più preziosi della Reale Galleria, l’attuale Galleria Sabauda, sin dalla sua apertura al pubblico nel 1832, auspice re Carlo Alberto.
L’evento può essere ritenuto a buon diritto il coronamento di una metodologia di studio che lega in maniera indissolubile storia dell’arte, storia del collezionismo e museologia: le ricerche sulla collezione del principe Eugenio condotte da Spantigati, infatti, avevano portato a un riallestimento della raccolta nella precedente sede del museo, concluso nel 2004.
L’esposizione si apre con la presentazione dell’affascinante figura del principe: statista, cortigiano, bibliofilo e condottiero, protagonista sui campi di battaglia dell’intera Europa, come dimostra la serie di tele dipinta da Jan Huchtenburg. In seguito l’attenzione si sposta sulle sue committenze architettoniche e sul gusto dell’arredamento delle sue residenze viennesi, il Palazzo del Belvedere e il Palazzo di Città, progettate da Johann Lucas von Hildebrandt e Johann Bernard Fischer von Erlach, tramite l’esposizione di arazzi, porcellane e mobili provenienti dal Palazzo Reale e dal Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama di Torino. Grande evidenza è data al volume di Salomon Kleiner sul Palazzo del Belvedere le cui stampe, incrociate con gli inventari della collezione e con i disegni per il Palazzo di Città, hanno permesso a Cornelia Diekamp di ricostruire l’assetto originale dei dipinti nei palazzi viennesi: un lavoro che avrebbe meritato di rispecchiarsi maggiormente nell’allestimento delle opere.
Finalmente si arriva alla collezione del principe, divisa in sezioni: dalle opere di gusto classicista del Seicento emiliano con Reni, Albani e Cignani, si prosegue con van Dyck e Teniers fino a giungere alla pittura olandese da cabinet, nucleo fondante della raccolta che ha reso celebre la Galleria Sabauda. Si passa così dai piccoli ritratti alle scene di genere, fino ai paesaggi di Brueghel e Griffier, per concludere con le nature morte e le battaglie di Wouwerman e del Borgognone.
Il tentativo di contestualizzare la collezione di Eugenio tramite il confronto con l’ambiente parigino, in particolare con le raccolte della contessa di Verrua e di Vittorio Amedeo di Savoia Carignano, oggi divise tra i più importanti musei del mondo, risulta poco riuscito a causa della scarsa presenza di opere in mostra. Allo stesso modo alcune opere chiave della collezione di Eugenio, che avrebbero potuto spiegare meglio il gusto del principe e del periodo, come la Santa Margherita di Poussin, l’Amarilli e Mirtillo di van Dyck o La ragazza alla finestra di Dou non sono state concesse dalla Galleria Sabauda, e sono rimaste a Torino per l’altra mostra a Palazzo Reale con i restanti capolavori del museo.
Come già anticipato, la mostra allestita presso la Manica Nuova di Palazzo Reale parte da basi metodologicamente differenti. “I quadri manifesto della Sabauda, quelle opere che il giapponese in visita a Torino vuole assolutamente vedere“: questo quanto dichiarato alla stampa dalla curatrice, l’attuale soprintendente Edith Gabrielli. A parte che di giapponesi a Torino di solito se ne vedono pochi, si resta piuttosto basiti da un “lancio” del genere. È vero che non è molto differente da quanto già si sente in occasione di manifestazioni simili, ma come programma di un’esposizione organizzata da una Soprintendenza ci si aspetterebbe di più, visto che ormai da anni si ragiona sulla qualità delle mostre in Italia.
Infatti, qualcosa di più c’è, stando al pannello che introduce alla mostra. Innanzitutto la foglia di fico dell'”operazione di pubblico servizio“: la Galleria Sabauda si avvia verso una chiusura di due anni per il trasloco dalla vecchia sede, queste opere sono state gentilmente concesse perché turismo e cittadinanza possano continuare a usufruirne e contemporaneamente “fidelizzarsi” (sic!) con la nuova sede. Siamo sostanzialmente in linea con la sciagurata campagna ministeriale “Se non lo visiti, lo portiamo via” di bondiana memoria. A quanto pare si finisce per dimenticare che il lavoro stesso delle Soprintendenze, per cui dovremmo tutti essere grati, è proprio quello del pubblico servizio. E se a evocare il pubblico servizio come proprio merito sono gli stessi che per incuria hanno lasciato che i dipinti della collezione si rovinassero, tutto il castello salta.
Ma c’è di più. Ancora dal pannello, e si perdoni la lunga citazione: “L’itinerario critico lascia da canto ogni velleità antologica o estetizzante e punta invece sul ruolo cardine della Sabauda nella cultura figurativa vuoi italiana, vuoi continentale. I 95 pezzi esposti permettono al visitatore di volta in volta dialoghi fruttuosi e concreti fra opere di area piemontese ed altre che fanno capo a centri della Penisola e dell’intera Europa“.
A parte che, se le opere esposte esposte datano dal XIV al XIX secolo e seguono un andamento cronologico, probabilmente qualche velleità antologica c’è. In fondo di cosa si sta parlando? Dell’importanza della Sabauda in quanto istituzione? Argomento scivoloso: il museo in quanto tale esiste solo dal 1832 e ha assunto di volta in volta diverse fisionomie: pare difficile misurarne l’importanza in termini di influenza sulla cultura figurativa vuoi italiana, vuoi contintentale. Oppure si parla delle opere d’arte che formano la raccolta? Anche qui il discorso è problematico, tuttavia stimolante: dev’essere una sfida lavorare con una collezione come quella della Sabauda, così “difficile” in termini di stratificazione storica e di nuclei differenti, spesso rispondenti al gusto del regnante di turno.
Non è questa la sede per lanciarsi in una disamina dei “dialoghi fruttuosi” proposti in mostra, per cui si rimanda alla recensione sull’Osservatorio Mostre e Musei. Quello che preme sottolineare è come una malintesa idea di valorizzazione e una certa prosopopea non bastino a mascherare i problemi e l’assenza di soluzioni. Innanzitutto la scelta dell’edificio come nuova sede museale, che mostra già tutti i suoi difetti. Lo spostamento della Galleria era previsto almeno dal 2004: non si potevano prendere prima provvedimenti per scongiurare una soluzione così infelice? La scarsa altezza dei soffitti e le sale anguste, già adibite a uffici, sacrificano la corretta fruizione delle opere, soprattutto dei monumentali polittici e delle grandi pale d’altare. L’allestimento dello Studio Albini – tendaggi bianchi in pvc scorrevoli su binari in metallo dove sono appese le opere -, se è utile ad aumentare la superficie espositiva variando le aperture degli archi divisori tra le salette, anziché comunicare leggerezza e flessibilità trasmette un senso di precarietà: basta sfiorare i tendaggi per provocarne il movimento.
L’esposizione poteva essere il banco di prova di nuove modalità di raccontare la collezione, la possibilità di testare un progetto serio e organico che non facesse rimpiangere il precedente allestimento organizzato per nuclei collezionistici dinastici, magari raddrizzandone le inevitabili quanto ben note storture. Al posto di proporre una vera “rivoluzione” metodologica e critica si è preferito soccombere alla frenesia di mostrare i “gioielli di famiglia”.
La volontà di esporre le opere della Sabauda per restituirle alla cittadinanza in attesa del nuovo museo è certamente meritoria ma, vista l’assenza di proposte concrete, impostare la mostra come un cantiere aperto forse avrebbe giovato maggiormente all’intera operazione. Aprire un dialogo con la cittadinanza, che accanto all’esposizione dei capolavori raccontasse la storia del museo, ne evidenziasse le criticità avanzando contemporaneamente una o più proposte di lavoro, magari con una serie di mostre che proponessero punti di vista differenti sulle raccolte, poteva essere davvero un’originale e fruttuosa attività di pubblico servizio.
Adesso rimane un museo da ripensare, in spazi non adatti per un museo. E una collezione che, per quanto martoriata, conserva tutta la sua forza e il suo fascino.
Luca Giacomelli
Venaria // fino al 13 gennaio 2013
I quadri del re. Una quadreria alla Reggia: le raccolte del Principe Eugenio
a cura di Carla Enrica Spantigati
REGGIA DI VENARIA
Piazza della Repubblica 4
011 4992333
[email protected]
www.lavenaria.it
Torino // fino al 13 gennaio 2013
I quadri del re. Torino, Europa. Le grandi opere d’arte della Galleria Sabauda
a cura di Edith Gabrielli
PALAZZO REALE
Piazzetta Reale 1
011 4361455
[email protected]
www.piemonte.beniculturali.it
La recensione sul sito dell’Osservatorio
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati