Climbing up the walls. Gli strati scalati da Andrea Dojmi e Daniele Pezzi
Sono due gli artisti presentati dalla Jarach Gallery di Venezia per lavorare nel Blocco di Taibon Agordino. Una mostra in cui non basta osservare, ma è necessario interagire fisicamente e soprattutto mentalmente. Un invito all’abbandono del consumo estemporaneo dell’arte.
Una mostra imperniata sul processo di stratificazione. Climbing up the walls non è una citazione musicale, ma la chiave interpretativa per un concerto di suggestioni. L’installazione di Daniele Pezzi (Ravenna, 1977) si sviluppa su un piano rialzato all’interno dello spazio espositivo. Per osservarla da vicino bisogna arrampicarsi su un’impalcatura (a proprio rischio e pericolo!), interagendo con l’opera. Su questo secondo livello troviamo una tenda con all’interno un video. Un viaggiatore che dopo tanto camminare comincia a montare la propria tenda e si prepara alla sosta, lì tra gli alpeggi del Mondeval.
Un lavoro a matrioska, la tenda nella tenda. Un fare e disfare dentro al prodotto finito, concluso, compiuto. Tutt’intorno le corde da arrampicata, le immagini che riportano il panorama come appunti di viaggio e l’immagine di chi in quei luoghi si è trovato a riposare per sempre, l’uomo di Mondeval. Unico dettaglio apparentemente dissonante: due tappeti persiani che invitano lo spettatore che sbuca dall’impalcatura a prendere posto di fronte alla tenda.
L’artista propone un confronto tra chi si trova a peregrinare tra le montagne dolomitiche e chi compie lo stesso gesto, ma altrove. Si tratta di una tribù del Sud della Persia dedita al nomadismo: i Basseri. Secondo uno studio dell’antropologo Fredrik Barth, non possiedono un culto religioso specifico perché il loro continuo peregrinare ha già di per sé un valore spirituale. L’esperienza di viaggio e il momento della sosta con l’operazione del montare la tenda diventa il vero rito sacrale che collega Basseri e viandanti dolomitici. Per questo il tappeto punta a una Mecca che in realtà è una tenda, il sacrario dell’apolide.
Nei lavori scultorei di Andrea Dojmi (Roma, 1973), il processo di stratificazione è ancora più sentito. Le varie parti combinate vengono estrapolate da un contesto originario che faticano a lasciarsi alle spalle. Vedo una piuma e mi sembra proprio una piuma. Ma proviamo a immaginare qualcosa d’altro. I diversi frammenti diventano suggestioni che concorrono a creare uno scenario unico. Vedo le piume con la loro forma allungata e si trovano su uno skilift e comincio a pensare che svettano come dei profili montani. Proviamo a “sezionare” Utah Beach. Vediamo uno skilift che poggia su due basamenti di cemento, su di esso è inserito un pannello in legno bardage, caratteristico delle baite di montagna, con una fessura, sopra delle piume, dietro nuovamente delle tavole che digradano oblique dal soffitto al pavimento.
Il riconoscimento di questi dati di fatto avviene a livello retinico, quando, però, essi arrivano al cervello possono trasformarsi in idee e acquisire significati differenti. Il consiglio implicito che ci viene dato è quello di evitare di consumare in un istante il prodotto artistico. È necessario decostruire il dato visivo (materiale), comprenderne le parti e ricostruirle in un’atmosfera (immateriale). Il compito che ci viene chiesto è arduo e il riconoscimento ha un ritmo sincopato. Lo skilift, le piume, il legno delle baite, la montagna. Le penne, lo Utah, le Dolomiti, i Canyon. La spiaggia, una struttura di legno difensiva, lo sbarco in Normandia. Il risultato non è mai banale.
Si scalano gli strati inglobati nelle sculture di Dojmi, con la tenacia con cui ci si arrampica sui muri, o sull’installazione di Pezzi.
Veronica Mazzucco
Taibon Agordino // fino al 21 ottobre 2012
Andrea Dojmi / Daniele Pezzi – Climbing up the walls
FABBRICA EX VISIBILIA
Località Campagna 1
0437 62221
[email protected]
www.dolomiticontemporanee.net
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